“Il valore di una coincidenza è uguale al suo grado di improbabilità.”
(Milan Kundera)
Qualcuno li chiama miracoli, qualcun altro magia, altri ancora provvidenza: io sto un passo indietro, senza scomodare nessuna potenza, limitandomi allo stupore di rilevarli e rivelarli, allorché ne trovo traccia.
La sorpresa nel volto altrui, quando capita. Il sorriso, gli occhi spalancati, a volte una lacrima.
Una tensione emotiva che trova sbocco nella terra di mezzo tra incredulità e contentezza.
Non ho bisogno di crederci, né credo poiché avvengono, tuttavia non sono neppure così sciocco o insensibile da rifiutare a prescindere: il fatto di non avere risposta non significa che non comprenda l'esistenza di una domanda.
Aprirsi allo stupore, lasciarsi attraversare dal dubbio, tenere aperta la porta della possibilità: tutto ciò non toglie nulla al razionale, semmai lo fortifica, poiché non lo assolutizza, evita che diventi verità incontestabile, cane che si morde la coda.
C'è un mondo oltre quello dei sensi, della comprensione attuale, umana.
Riconoscerlo è atto di umiltà e insieme di saggezza.
Vale per le piccole cose, così come per le immense, la morte, la vita.
Indossare gli occhiali dell'attenzione, restare vigili nell'osservare quanto ci succede attorno, tentare di captare segnali piccoli o grandi di meraviglia, rende meno cinici e allontana pure la sconforto, la tristezza, sapendo che il bello, il piacevole - come nella caccia al tesoro - è quando si trova qualcosa, ma altresì per il fatto stesso che si cerca.
P.S. Sono forse stato criptico, chiedo scusa. Ho preso spunto dal racconto emozionato di un amico che, proprio nel giorno di una ricorrenza speciale, l'anniversario di morte del padre, ha saputo di intraprendere una nuova avventura, di salire un gradino nella propria formazione di vita.
Ho ripensato a me, una sera di primavera di tredici anni fa, quando ricevetti la telefonata che avrebbe cambiato in meglio la mia esistenza. Anch'io avevo perso mio papà e poche ore prima, in mattinata, i ladri erano entrati in casa, facendo razzia dei pochi oggetti di valore economico, legati a ricordi cari di chi più non c'era. Ricordo l'atmosfera cupa, la tristezza, il pianto, la disperazione delle persone vicine e poi lo squillo del telefono, quelle comunicazione breve e asciutta ("Se ti va bene, appena riesci cominci a lavorare da noi"), un nodo che si scioglieva, l'incredulità che proprio quel giorno arrivasse a sintesi un'opportunità tanto attesa.
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