“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”.
(Jorge Luis Borges)
Se ne parla tanto, troppo, spesso somigliando al fondo d'uno stagno, dove l'acqua è stantia e si deposita il fango.
In più, come tutte le chiese (minuscolo), è divisivo: c'è chi lo detesta, non sopportando nemmeno che venga nominato, e chi lo ama, trovando un fascino che va oltre i soldi, gli affari, cogliendo in esso qualcosa di puro, di innocente, di magico, che perpetua il bambino in ciascuno di noi, preservando dal divenire completamente adulto, vecchio.
Il calcio è più di uno sport: è un gioco.
Ometterò qui tutto ciò che lo riguarda, tranne quanto mi piace di più - oltre l'agonismo, le bandiere, il tifo, la partecipazione, la passione, l'entusiasmo, la bellezza, lo stile, la poesia, la rivalità, la sportività, la storia, la tradizione, le novità, la sorpresa, le dinamiche di gruppo, le prodezze del singolo e molto molto altro - cioè questo: il rapporto di lealtà e cameratismo tra compagni di squadra e anche tra avversari, in nove casi su dieci, che guarda caso non sono mai quelli che finiscono sui quotidiani il giorno dopo o in televisione o sul web, a ridosso di un incontro.
Eppure a prestarvi attenzioni sono la regola, la norma di gran lunga più frequente, a dimostrazione di ciò che scrive Rutger Bergman per un contesto più ampio, nel libro Una nuova storia (non cinica) dell'umanità, secondo cui gli esseri umani sono fatti per la gentilezza e siano predisposti alla cooperazione assai più che alla competizione.
L'abbraccio tra compagni dopo un gol o un salvataggio, la mano tesa quando uno è a terra, i saluti rispettosi al termine della gara, sono la foresta silenziosa che prospera mentre noi siamo distratti dal rumore dell'albero che cade ovvero da comportamenti antisportivi che nella somma totale degli episodi di una partita non superano mai il punto percentuale, la virgola in seno al paragrafo.
P.S. Poi ci sarebbe quanto avviene sugli spalti, in tribuna, con un campionario di urla e improperi e gestacci che rivelano un lato oscuro dell'essere umano. Una minoranza anche in quel caso, è vero, però se siamo onesti dobbiamo ammettere che il calcio richiama gli istinti peggiori che albergano dentro chiunque di noi, pure il più mite, il mezzo santo. Sarei curioso di sapere come si comporta il buon Rutger quando entra allo stadio.
Nessun commento:
Posta un commento