Cari comaschi, contro lo scempio alziamo la voce
Le prime avvisaglie, è onesto riconoscerlo, le aveva date già in consiglio, quando aveva rassicurato i colleghi politici con sorrisi e strette di mano, ma al momento del discorso ufficiale, quello che rimane registrato, era stato più doroteo di Rumor, cesellando parola per parola, dicendo che sì, insomma, anche la moglie ci aveva messo del suo e l’aveva convinto, che così, proprio così, il muro è brutto e alto, troppo alto, provvederemo, lo abbasseremo. Il punto è questo: Stefano Bruni e con lui Fulvio Caradonna, quel muro, quel mausoleo di cemento armato, vogliono limarlo, non abbatterlo e una conferma senza appello l’ha data ieri il sindaco stesso, dichiarando nero su bianco: «No a modifiche radicali».Ed è qui che tra noi e lui la distanza è di un chilometro, è qui che dobbiamo porre la linea di demarcazione tra chi è tiepido, tra chi è disposto a farsi condire dai buoni propositi, dalla politica degli annunci a buon mercato, sperando che magari si plachi il vento, e chi invece su questa tema non accetta compromessi, distinguo. L’abbiamo scritto ieri e ieri l’altro e da una settimana a questa parte almeno: quel muro non lo vogliamo, la vista lago deve essere restituita alla città per intero. Non è questione di centimetri e neppure di punti di vista: se non fossimo preoccupati, ci farebbe sorridere l’insistenza con cui Caradonna mette le assi in riva al lago, per dimostrarci che il marciapiede sarà un po’ più alto, che qualcosa alla fine guadagneremo, che se ci mettiamo d’impegno "ruberemo" anche una mezza spanna dalla strada e così anche nostro figlio, che invece di essere alto due metri, supera a malapena il metro e mezzo, se salta o monta in spalletta, uno spicchio d’acqua lo potrebbe vedere davvero. Per non parlare delle pietre preziosissime con cui il muro verrebbe ricoperto o le foriere, spacciate per novello giardino pensile di Babilonia e che, a sentir il sindaco e il suo vice, dovrebbero convincerci che sì, in effetti, finalmente loro hanno portato a Como la cultura del nuovo, del bello. Il muro, le fioriere, le preziosissime pietre, se fosse per noi, potrebbero portarsele tutte quante a casa loro, perché tra la città e il lago non dev’esserci alcuna barriera più alta del ginocchio. Se questo significa «una modifica radicale al progetto» che si provveda, bene e presto. La sollevazione che c’è stata, l’unanimità con cui i tre giornali cittadini e la tv hanno preso posizione, la lunghissima lista di cittadini che hanno preso carta e penna e hanno scritto o semplicemente firmato contro il muro, è una forza senza precedenti. Un tornado che non deve cessare, una tensione che è giusto mantenere. Lo scriviamo non per timore che i comaschi si stanchino di difendere casa loro: abbiamo parlato con troppa gente, in questi giorni, e visto troppe facce di persone che hanno preso l’auto o il bus e sono venute nella nostra sede per lasciare il tagliando "Una firma contro il muro" e che consegnandolo volevano parlare, sfogare la loro rabbia, la loro delusione e non possiamo immaginare una resa prima che lo scempio sia abbattuto. Ma ci preoccupano i politici che con l’elezione credono di avere una cambiale in bianco e non li smuovi dalle loro convinzioni neppure cascasse il mondo. Per il flauto dolce c’è tempo: finché non sentono ragione, è giusto e sacrosanto battere il tamburo.
La Provincia, 27.09.09
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