sabato 12 settembre 2009

Le parole che non ti ho trascritto


Casa dolce casa. La Sardegna però non era male e conserverò momenti lieti, che nei ricordi valgono più di qualsiasi cartolina. Appena tornato, per caso, ho rimesso ordine su una mensola e in una vecchia agenda ho ritrovato un articolo che avevo scritto anni fa per il Corriere di Como, un editoriale in prima pagina sulla vicenda dei coniugi Martinoni, scomparsi e ritrovati cadavere, uno accanto all'altra, lei la vittima, lui suicida ed assassino.

M'é piaciuto rileggerlo e ho pensato che sono stato sciocco, in questi anni, a non fare copia qui, sul blog, degli articoli che ho scritto, che scrivo. D'ora in poi lo farò e per sigillare questa decisione, comincio con il riportare proprio quell'articolo scritto in fretta e furia, mentre si avevano notizie confuse di quanto era successo, ma bisognava andare in stampa e bisognava scrivere possibilmente bene e certamente svelto.

"All'ultima pagina di un giallo diventato d'un tratto pallido, il lupo e l'agnello giacevano accanto. Un'epilogo mesto e tragico, senza lieto fine, né morale.
Achille Martinoni ha scelto di morire lassù, tra le sue montagne, dove forse per la prima volta s'è ritrovato davvero solo. Proprio come un lupo, ha cercato riparo lontano da tutti, a mezza costa, tra la neve e la roccia e il gelo. Un ghiaccio che gli è arrivato dentro, fino al distacco supremo, a un gesto disperato che non ne lava le responsabilità, ma le copre. Un velo di tomba che chiamiamo pietà. Una compassione che si aggiunge al dolore dell'agnello, al sangue innocente versato senza senso. L'hanno trovata così Adalgisa, raccolta in un fagotto, stretta in un abbraccio di amore rifiutato. Cala in questo modo il sipario su una vicenda nuova e antica al tempo stesso, in un modo semplice ed atroce, con la verità vicina più di quanto ognuno avrebbe pensato. Carabinieri, pompieri, protezione civile e inquirenti avevano cercato in lungo e in largo, tranne nel posto più scontato. In quindici giorni molto era stato detto e altrettanto ricamato. "Forse sono ancora vivi... Magari almeno lui è sopravvissuto... Sarà scappato... Può darsi che l'abbia abbandonata in un dirupo, nel lago, nell'Adda, nel bosco... Non è da escludere che sia in Svizzera, in Romania, in un alpeggio... Ha lasciato un pupazzetto prima di gettarla nella diga... Sul biglietto c'è scritto che la mamma sta bene: forse è ancora viva... Attenti, potrebbe tornare a Garzeno, farla pagare a qualcuno...".
Invece niente. Niente di tutto questo. Niente fuga, niente vendette, niente colpi di scena. Nessun mistero, se non quello estremo della sofferenza, del male. Una domanda a cui fa eco soltanto il silenzio.
Il medesimo silenzio che domina il Monte Spluga dodici mesi all'anno e che a breve, quando l'ultimo essere umano se ne sarà andato e i riflettori si saranno spenti, tornerà padrone di quelle vallate sferzate dal vento. Lo stesso silenzio che da oggi dovrebbe prendere il posto delle molte parole spese non sempre invano. Un silenzio a rispetto dei morti e dei vivi, di chi non c'è più e di chi è rimasto: le due famiglie, gli anziani genitori, i parenti, soprattutto la figlia. Con ieri sono finite per lei le speranze, ma anche le paure. Il peggio che poteva capitarle l'è capitato, sul dorso di una montagna profonda quanto un pozzo. Non ci illudiamo che qualcuno o qualcosa possa consolarla: questo è il momento del dolore nudo. A lei va il nostro cordoglio, unito alla certezza che dei suoi genitori, di chi le ha dato la vita, non rimarrà solo il ricordo di un tragico finale, in un novembre cupo".
Photo by Leonora

1 commento:

Wilma ha detto...

Una storia di una tristezza infinita. Bello l'articolo. Una scrittura nello stesso tempo coinvolta e professionale.