lunedì 3 gennaio 2011

Le stelle non stanno a guardare


Sarà il nome di battesimo, ma George Clooney è proprio affascinante. L'ho visto stasera in una commedia curiosa, "Tra le nuvole". Capisco ci siano ragazze che preferiscono una bellezza più fresca, pulita, tipo Brad Pitt, Johnny Deep o Robert Pattinson, il tenebroso di Twilight, però George ha un sorriso, uno stile, un'eleganza che lo rendono intrigante, unico. Parentesi chiusa sull'attore (ad uso e consumo delle lettrici e dei lettori d'incerto sesso), aperta invece sui contenuti del film: la precarietà del lavoro e le cose che davvero nella vita contano. C'è una scena in cui il "tagliatore di teste" chiede a colui che ha appena licenziato: "Quanto ti hanno pagato il primo stipendio, qui, per rinunciare ai tuoi sogni?". A volte le certezze sono un macigno, una zavorra che imprigiona e impedisce di volare. Di provarci almeno. Ripenso a quel giorno in cui Giunco, il proprietario della tv dove lavoravo da dieci anni, mi chiamò infuriato nel suo ufficio e per un "delitto di lesa maestà" disse quello che pensava in quel momento, cioé che ero un buono a nulla, che non sarei mai andato via da lì perché non mi avrebbe voluto nessuno, che neanche si degnava di cacciarmi, ma che per lui ero morto. Per lui lo sono tuttora, credo. Non me me faccio un cruccio e neppure gli porto rancore. Allora sì, lui si sentiva pugnalato da me e io maciullato da lui, da un'azienda per cui sono certo di avere dato molto (ricevendo altrettanto in cambio, lo riconosco). Era anche una fase particolare della mia vita: dopo poche ore sarebbe morto mio padre e quello era il momento peggiore, quando sei certo della fine a non del modo in cui essa avverrà e questa incertezza è tremenda più del dolore per il distacco. Oggi è diverso, guardo a quell'episodio con gratitudine, per due aspetti almeno. Primo: è stato un recidere un cordone ombelicale a cui altrimenti sarei rimasto attaccato a lungo, senza possibilità di prendere il volo e nemmeno di esprimermi al meglio, parcheggiato in una sorta di limbo. Secondo: pungolò il mio orgoglio e mi fece orientare tutte le risorse di cui disponevo per trovare un nuovo posto. Sono stato fortunato: ho trovato una persona che ha creduto in me, che non mi doveva nulla né mi conosceva bene, ma si è fidato di quello che vedeva e mi ha presentato agli unici referenti che potevano portarmi dove ora felicemente sono.

Lo scrivo perché nei loro confronti ho un senso di gratitudine sconfinato. Ciò non significa che non ragioni con la mia testa, che offra obbedienza cieca, astenendomi da decisioni autonome e giudizio critico: "Preferirei di no" sono tre parole che porto ovunque con me, sempre pronto a metterle in pratica, s'é il caso. Ma perché sono arrivato a raccontare tutto questo? Ah, già, per il film che ho visto. E perché a volte temo di aver perso quella voglia di riscatto, di rivincita, che spinge a migliorarsi sempre, a non sedersi sull'alloro. L'ho scritto già in uno dei quattrocento post che precedono questo: chi ha tutto non si muove. Per limitarsi a guardare le stelle c'è sempre tempo.


Foto by Leonora

1 commento:

Wilma ha detto...

Che brutto episodio! Le offese, lanciate così violente, sembrano quelle tipiche di rapporti affettivi molto profondi...Ma la mia è solo un'ipotesi.
Sembra davvero che le cadute (e non solo gli incoraggiamenti) ci rimettano in piedi più forti e più agguerriti. Devo pensarci nel rapporto con i miei figli...