Tra poco più di un mese, a Dio piacendo, sarà di nuovo il suo compleanno e come avviene da un bel po' di stagioni, finirà con lo spendere più in candeline che in torta. Centonove anni. Carla Musa vedova Porta è nata il 15 marzo 1902 e vive tuttora in una casa che pare quella delle bambole, tutta coperta d'edera, in mezzo ad alti palazzi che nel frattempo l'hanno circondata. L'intervistammo l'8 gennaio del 1998 e la cosa che più mi stupì fu sentirla dire che in braccio a suo padre aveva visto Bufalo Bill quando venne a Como. Per me Bufalo Bill era un'altra epoca, un altro tempo. Il suo.
Solo i bambini guardano dal parabrezza posteriore delle automobili.
Carla Porta Musa ha la loro stessa instancabile curiosità, il medesimo candido stupore.
Davvero gli anni si sono inchinati. Davvero il tempo l’è diventato amico.
Non gli crediamo noi, quando confessa di avere ormai novantasei anni, ma non deve crederci neppure lei. Più tardi, infatti, parlando delle sue amicizie, prima dice: “c’è una vecchiettina che viene spesso a trovarmi”, poi scuote il capo, sorride e aggiunge: “la chiamo vecchiettina, ma avrà almeno vent’anni meno di me.”
Carla Porta Musa vive come parla e parla come scrive. In modo semplice, limpido, chiaro. Eppure magico. Senza tempo, appunto. Anche se il tempo lo ha vissuto pienamente, attraversando per intero questo secolo.
Le sue memorie rappresentano una tra le testimonianze più serene delle stagioni che furono. Scrittrice e poetessa “di momenti lirici”, come ama precisare, iniziati per una delusione d’amore.
“Dopo tre anni di fidanzamento il dottor Porta mi piantò. Soffersi moltissimo e cominciai in quel periodo a scrivere poesie. Diversi anni più tardi ci ritrovammo e lui comprese di essere ancora innamorato di me. Io dicevo sempre: o sposo il dottor Porta o sposo nessuno. Era un uomo di enorme cultura, dal quale imparai moltissimo. Ma era anche un uomo molto severo, con un carattere difficilissimo. Non è stata una vita facile con lui, non sempre serena, ma tutto questo è servito perché mi ha fatto diventare quello che sono. La persona che devo ringraziare maggiormente è però mio padre. In vita mia non ho conosciuto un secondo Enrico Musa. Tra l’altro, egli fondò l’Istituto Carducci e fu segretario della grande Esposizione Voltiana del 1927 e, due anni prima, fu tra coloro che fecero acquistare Villa Olmo, con il contributo di quattro milioni del Comune e reperendo l’importo restante grazie ad una sottoscrizione popolare. Ricordo Enrico Musa come un uomo incredibile, ma soprattutto come un padre dolce, che sapeva insegnare con molto garbo. Giannino Porta, se non capivo subito, si arrabbiava; mio padre, invece, amava moltissimo ascoltare. Tra noi c’era vero dialogo”.
Musa, Porta, Linati, Casnati, Rovelli…Una girandola di uomini importanti. Più arduo, ma non impossibile, udire il nome di una donna.
“Margherita Sarfatti. La donna più intelligente e colta che abbia mai conosciuto. Un vulcano. Pensare che non era mai stata un giorno a scuola e sul passaporto aveva perfino scritto “analfabeta”. Invece parlava alla perfezione cinque lingue e possedeva una cultura enciclopedica. Insegnò persino otto anni all’università. Era conosciuta in tutto il mondo. Allora era chiamata “la regina senza corona”. Veneziana di nascita (e della sua regione aveva i colori) frequentò e amò moltissimo Como. Ricordo le numerose sere trascorse insieme da Collina, per sentirlo leggere, man mano che li scriveva, i “Promessi Sposi” tradotti in dialetto. Margherita abitava in una villa di campagna, donatale dal padre, a Cavallasca, in una località che lei stessa battezzò col nome di Lieto Colle e in cui volle esser sepolta. Mio grande amico fu Carlo Linati. Veniva tutti i lunedì da me a prendere il tè e, avendo compreso la mia passione per la letteratura, mi consigliava i libri che dovevo leggere. Era un filino snob. Era stato in Irlanda e gli piaceva parlare con me in inglese”.
Tra i “volti luminosi” che la mente rievoca, la città di Como mantiene una luce vivissima, che non si è affievolita col trascorrere del tempo.
“Io difendo la mia città. E la chiamo “mia” perché tale la sento, anche se mia madre era spagnola, mio padre milanese e ho parenti svizzeri, tedeschi, inglesi, austriaci. Appartengo ad una famiglia cosmopolita, ma ho trovato in Como una dimora ideale, poiché non si tratta di una città provinciale. Anche fisicamente non lo è. E’ una città che ha una sua nobiltà, una città che definirei persino aristocratica, come certi suoi palazzi, certi suoi giardinetti. A Como ci sono molte persone di ingegno, anche estrose. Semmai a Como non siamo uniti. E’ un carattere difficile quello del comasco, non si amalgama bene con gli altri. Quando però dicono che a Como non si fa niente, mi arrabbio.C’è un’università, che ancora non ha sviluppato tutte le proprie potenzialità, ma potrà farlo in futuro. C’è un Istituto Carducci, che attualmente ospita la facoltà di giurisprudenza e propone anche concerti, scuole serali ed estive, viaggi e una biblioteca abbastanza consistente. Ci sono i “nuovi venerdì letterari”. Quando ero molto giovane, con Carlo Linati, organizzammo i “lunedì letterari”. Durarono solo due anni. Poi dal ‘46 al ’53, al Carducci, tutte le settimane, da novembre ad aprile, proposi i “venerdì letterari”. Vennero i nomi più importanti della letteratura. I Bacchelli, Quasimodo, Errante, Savinio, Devoto, Saggio e altri ancora. Di recente, l’amministrazione comunale ha insistito per l’allestimenti dei “nuovi venerdì”. Mi è parsa un’idea preziosa, che ha potuto rendersi concreta con l’aiuto di Alberto Longatti. C’è un Centro Volta, che a Como non è abbastanza conosciuto, ma all’estero è assai apprezzato. Sapesse quanti stranieri mi hanno detto: ma voi a Como avete il Centro Volta, che è una cosa importantissima. Tante altre più importanti città non hanno un circolo tanto prestigioso”.
Alessandro Sallusti, dalle colonne del suo giornale, si è chiesto se proprio il Centro Volta non possa fare di più per Como.
“Tutti noi potremmo fare di più, ma io insisterei maggiormente sul valore di ciò che già esiste. Quel che manca è piuttosto la comunicazione.Dico sempre all’amico Canobbio, un uomo di enorme intelligenza, cultura e sensibilità (tre virtù che, se compresenti, conferiscono alla persona carattere di eccezionalità), che è necessario divulgare un resoconto periodico di ciò che propone il Centro. Chi sa che, dopo Venezia, Como è stata scelta dall’Unesco per la promozione di incontri ad altissimo livello.
D’accordo, ci sono le pubblicazioni specifiche, ma chi va a leggerle? E’ necessario informare il pubblico, comunicando in maniera più discorsiva, cominciando dalla A per arrivare alla Z e non viceversa. Altrimenti le persone, specie le più umili, non capiscono nulla”.
Sulla sedia accanto alla sua c’è una busta colma di ritagli. “Sono articoli di giornali italiani ed esteri. Quando accade qualche fatto importante ne faccio una raccolta e la dono alla biblioteca. Ecco, se c’è una cosa che rimprovero alla mia città è di non investire abbastanza nelle biblioteche. Alla nuova amministrazione provinciale, ad esempio. rinnovo una richiesta minima, che avevo già proposto a quella precedente. Nella nostra città ci sono diversi e validi editori. Le biblioteche della nostra provincia sono numerose. Perché non mettere a disposizione cinque o sei milioni e acquistare i libri degli scrittori comaschi, mandandoli in tutti paesi dove esiste una biblioteca? Fino ad ora promesse, ma nulla di concreto. Che ci vuole? Meno di nulla. Solo gente che ami la cultura”.
Giorgio Bardaglio
P.S. Quando ho cercato tra i file del computer questa intervista, ho trovato appunti che avevo tralasciato nell’articolo pubblicato sul giornale, ma che ora mi pare meritino di lasciare traccia, poiché è una sorta di testamento. Lo riporto qui.
“La morte è mia compagna, dal momento in cui apro gli occhi a quando vado a letto la sera, però in un modo molto sereno. Penso sia una cosa bella anche la morte. So di essere forse un’illusa, ma è quello che sento. Poi, non lascerò molto, ma certamente qualcosa. Mi sembra di aver sempre cercato di dare.
A Como
(Per quando me ne sarò andata)
Se volete ricordare il mio lungo
appassionante amore per la città
dove mi vanto d’esser nata
non fatelo intestando strade stradine
o vicoli reconditi su lapidi che il tempo scolorisce
ma fatelo dedicando al mio bel nome
(non per mia scelta, ma che mi fu donato)
nella vasta piazza prospiciente il lago
un’immensa ninfea dai giochi d’acqua
perennemente festosi e palpitanti”
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