martedì 1 febbraio 2011

Sette piccoli sospetti e un colpevole


Scrivo molto, leggo meno di quanto dovrei e me ne faccio un cruccio. Soprattutto libri. Dopo il secondo libro di Piperno, ho letto un'altra opera seconda, quella di Christian Frascella: "Sette piccoli sospetti". Sette piccoli sospetti e un colpevole: lui, l'autore. Una delusione. Tutta la freschezza del primo libro ("Mia sorella è una foca monaca") è appassita, svanita. Il risultato è un romanzo da dilettanti, fatto perché si doveva fare, in cui manca oltre all'ispirazione anche il mestiere, in cui prevalgono confusione e banalità. Mi spiace, perché la stoffa c'era.
Lo so, non sono tenero, ma chi legge questo blog sa che non lo faccio con leggerezza. Io nasco buonista, ma il buonismo è il vizio della bontà: annacqua, appiccica, tarpa, rende flaccidi e informi, impedendo la crescita. Ecco perché, pur volendo per carattere compiacere a tutti, non fatico a sferzare e a usare la frusta. Non me ne compiaccio. Trovo anche una certa fatica fisica, quando metto il dito in una piaga. Conoscendo i miei difetti, sono propenso a comprendere quelli altrui, però ho imparato con il tempo a tenere la barra dritta. Critico e accetto le critiche, senza prendermela, anzi cercando di fare tesoro di chi restituisce pan per focaccia, mettendo in luce una mia contraddizione, una debolezza. Sul giornale, sei giorni fa, mi è capitato di far le pulci ad Alessandro Nardone, attivista del Pdl, che aveva dato della "miracolata" a Nicole Minetti, scordandosi che in fatto di miracolati se ne intendeva, avendo ottenuto anch'egli un posto ben remunerato al Casinò di Campione d'Italia in virtù non già di titoli o credenziali, bensì per un'appartenenza politica. Mi hanno scritto tantissime persone, qualcuno mi ha telefonato e qualcun altro mi ha persino fermato per strada, per dirmi che avevo fatto bene, che era ora fosse scritto. Ho ringraziato per cortesia, ma non ne vado fiero. O meglio, pur sapendo di aver messo nero su bianco la verità, non mi compiaccio di aver messo in qualche modo l'altro alla berlina. L'ho fatto, ma con il rammarico con cui un chirurgo amputa un arto, sapendo che in fondo è a fin di bene, eppure dispiaciuto di arrecare un danno all'altra persona. All'inizio magari la vanità, la passione per ciò che si sta facendo, la consapevolezza di sentirsi nel giusto, acciecano e ammetto che subentra il compiacimento, il gusto di chi coglie nel segno. Basta però spegnere il computer, tornarsene a casa e prima ancora che esca il giornale l'euforia svanisce e rimane ciò che dicevo: la convinzione di essermi comportato bene, a schiena dritta, ma pure la tristezza perché dall'altra parte, anche se sbaglia, c'è una persona.


Foto by Leonora

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