giovedì 14 giugno 2018

Diventare grandi (La stagione di Zaccaria)

Sulla battigia, a due metri dalle onde placide del mare, un bimbo siede gaudente con gli occhi fissi sulle mani minuscole, sporche di sabbia. Attorno a lui, disposti a semicerchio, in piedi, sei anziani, simili a colonne, che lo osservano silenti e compiaciuti, novelli Zaccaria che contemplano quello che per loro pare insieme Gesù Bambino e Giovanni Battista.
Appena incontrati non vi ho fatto caso, se non distrattamente. L'immagine però mi è rimasta impressa e per giorni e giorni l'ho ruminata, inconsciamente, finché ieri l'altro, di mattina, chiacchierando con Paolo e Beppe si è accesa la luce, una lampadina.
Fino a sessant'anni fa si partiva in tanti e alla vecchiaia giungevano pochi. La nostra società era zeppa di infanti, di giovani e con pochi anziani, che non a caso venivano messi al centro dell'attenzione, oltre che della tavola.
Ora è il contrario: la clessidra si è capovolta, si campa a lungo, ma le nascite sono merce rara ed è naturale che i pochi bambini siano posti su un piedistallo, soggetti di mille premure e coccolati, riveriti, venerati, mantenuti idealmente nella culla anche quando hanno gambe e braccia forti per conquistare il mondo e non soltanto per fare merenda.
Non basta. Pure la fascia di mezzo, che è poi la mia, paga dazio a questo cambiamento.
A illuminarmi, questa volta, è stata Ambra, con le parole commoventi con cui oggi ha salutato per sempre la sua mamma. "Attraverso questo dolore siamo più grandi" ha detto. È vero. L'ho provato sulla mia pelle e ne resto convinto: si diventa adulti passando per la sofferenza, per la malattia, per la morte di chi ci ha generato, partorito e cresciuto, chiunque esso sia.


P.S. Che poi, a pensarci bene, è una lezione ricevuta mille volte, proprio da bambino, ma a cui ho fatto sempre poco caso, non riuscendo appieno a comprenderla. Accadeva quando mi sbucciavo un ginocchio o facevo un capitombolo e mi mettevo a piangere, disperato, venendo consolato da un abbraccio, da un bacio e dall'immancabile frase: "Dai, che sei diventato più grande". Grande, non alto, come invece fraintendevo perplesso allora. "Più grande". Più saggio, più adulto. Migliore insomma, anche se meno innocente, e a volte più triste, di prima.

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