sabato 14 dicembre 2019

Un metro davanti a me (Cosa c'è oltre la maschera)


Eri un metro davanti a me, bella come sempre, in mezzo a tuo marito e tua figlia, che aveva in braccio il nipotino, anch'egli una meraviglia.
Eri un metro davanti a me e sarebbe stata una normale mattina, se sul viso tu non avessi avuto una mascherina, di quelle verde latte e menta, che usano i medici quando intervengono o gli infermieri o le persone malate, che non possono permettersi un'ulteriore acciacco, neppure un banale raffreddore, un'influenza.
Eri un metro davanti a me e quando gli sguardi si sono incrociati hai sorriso, serrando lievemente gli occhi, come sempre, come fai con tutti, per una spontanea forma di cortesia, mentre io pensavo a quanto mi avevano già detto, al male che ti ha cinto il petto, che si è insinuato nella carne e che fatica ad andare via.
Il tempo è volato e non ho avuto il coraggio né l'occasione di fermarmi, di chiederti come va, di dirti che faccio il tifo per te, che so quanta tribolazione nasconda l'apparente quiete, del carico che sulle spalle porti insieme con la tua famiglia.
Lo so perché l'ho vissuta, perché l'ho riconosciuta nell'espressione di tua figlia, anch'essa sorridente, fino a quando gli hai accostato la bocca all'orecchio e detto due o tre parole, mentre lei annuiva e continuava a sorriderti, tranne nel momento preciso in cui ti sei voltata e la sua espressione in un lampo è mutata, come chi viene colpito alla bocca dello stomaco, chi perde fiato, chi riceve una brutta notizia o ricorda quanto sia la situazione precaria.
In quell'istante ho percepito il suo dolore, la sua ansia, la preoccupazione di una figlia che ha da poco sperimentato la gioia più grande, quella di diventare a sua volta madre, ma sente in pericolo la persona a cui è più legata, tu, sua mamma.
Io non so cosa riserverà il destino, il caso, la vita. Ho pianto quindici anni fa per persone che sembravano avere i mesi contati e che sono invecchiate serene, vivendo tuttora in pienezza, mentre altri per i quali pareva poco o nulla ci hanno lasciato senza neppure il tempo di un Ave Maria.
Per questo dico che non lo so, tuttavia conosco e sono partecipe dell'apprensione tua e di chi ti vuole bene e di tutti coloro che vivono una simile vicenda, specialmente in questi giorni che precedono la festa e in cui tutti corrono e nessuno si ferma.
Tu a fermarmi mi hai costretto e lo considero un dono, che contraccambio abbracciandoti idealmente e dicendoti che non sei sola, anche se sola ti senti, come chiunque passa dalla soglia stretta e spinosa della malattia.

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