Me lo chiede nessuno, non ho altro luogo in cui scriverlo, lo appunto qui, per te, che al pari dei tuoi fratelli cerco di educare allo spirito critico e che in qualche modo vivi del pane che guadagno, del mestiere che ho scelto.
C'è pure un terzo motivo, che attiene all'accettare se stessi, la propria natura, correggendola - se è il caso - alla luce della ragione, ma comprendendo l'origine, il significato di ogni comportamento, senza giudicarlo frettolosamente, il ramo secco di un tronco sano.
Tra i molti istinti, ne scelgo uno: la curiosità di osservare le cose che non vanno, compresi gli eventi drammatici, tragici, siano essi l'incidente stradale o la malformazione fisica, la carambola involontaria, l'inciampo.
A bocce ferme, dopo, forte è stato lo sdegno per quelle telecamere puntate su quel corpo apparentemente esanime, i dettagli del volto, la corsa dei soccorritori, le manovre per rianimarlo.
Molti l'hanno definita "assenza di pudore", "morbosità", persino "sciacallaggio".
Vado contro corrente e, come suggerisce Brecht, mi siedo dalla parte del torto, sostenendo che mostrare quell'evento, inquadrarlo, è stato giusto.
Da che mondo è mondo infatti gli esseri umani imparano dall'esperienza, specialmente di una situazione di pericolo, con le lezioni che ne conseguono (la prontezza del compagno; la calma dei medici e paramedici nel prestare soccorso, nel capire, prima ancora che mettere mano…), compreso il desiderio di poter imparare qualcosa, di essere preparati personalmente, nel caso accada a noi di assistere a un simile evento.
Assai più temo l'omertà, la rimozione del dolore, il velo bianco della censura che oscura tutto, di un pudore che sterilizza la realtà, rendendola "immune", cioè priva di "dono".
In un mondo in cui l'ipocrisia tende a prendere il sopravvento, vorrei che tu e i tuoi fratelli coltivasse sempre il dubbio, il pensiero divergente, l'arte del ragionare e del comprendere, tenendo in considerazione la storia umana, la natura, l'istinto biologico, il valore del "pubblico".
P.S. Chris Eriksen, il giocatore colpito da arresto cardiaco, è sopravvissuto, sta meglio, dovrà cominciare un cammino in salita e tortuoso, per recuperare appieno la salute e ridurre al minimo rischi e conseguenze di ciò che gli è capitato.
Per coincidenza, ho assai a cuore un'altra persona che giorni fa ha visto rivoltata la propria vita come un calzino, rischiando di perderla e ora di averla compromessa, dovendo convivere con le bizze del proprio muscolo cardiaco. "Mi sento sbattuta come bandiera al vento, vivo costantemente nel terrore" mi ha scritto chi gli sta accanto.
La capisco. Anzi, ne intuisco lo sgomento, poiché per capirlo dovrei esserci immerso io stesso.
Così, impotente come mi sento, come sono, l'unico appiglio è quello dell'esperienza di chi ci è già passato, di chi in qualche modo ne è uscito, delle storie buone che hanno lo stesso valore della curiosità di osservare le cose che non vanno. Due volti della stessa medaglia. Una medaglia chiamata "conoscenza", che da millenni a questa parte rende l'essere umano ostinato e per molti aspetti unico.
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