martedì 4 luglio 2023

Emilio Gelpi (Il sindaco ostinato)

Due fratelli, intervistati a un anno e mezzo di distanza l'uno dall'altro.
Li metto in fila qua, non per caso.
Insieme testimoniano ciò che delle memoria ho scritto ieri: è un setaccio in cui scorre tutto e trattiene pochissimo, raramente a comando.
Di Emilio Gelpi, ad esempio, non ricordo nulla, tanto che rileggendo l'intervista di allora ho lo stupore che spesso provo per parole che sono uscite dalla mia testa ma che paiono scritte da qualcun altro. O meglio, riconosco lo stile, se me le porgessero su un foglio bianco, senza firma, le riconoscerei, ma per istinto, non tramite ragionamento.
E pensare che molto ci sarebbe da rammentare, di quell'incontro. A cominciare dai sentimenti umani che una persona - pur posata, pacata, estremamente razionale - prova, senza infingimento. Siamo fatti di carne e sangue, non soltanto di cervello. Ci scaldiamo, appassioniamo, animiamo, non riusciamo a trattenere i moti dell'istinto, così dopo cinquantadue anni (mezzo secolo!) di sindaco, invece di passare con signorilità la mano, ci si impunta, ci si picca, si sente - "sentire" è il verbo adatto - di aver subito un torto.
Ecco, Emilio Gelpi ora che lo guardiamo da qua, da lontano, ci è più simpatico e un posto nel pantheon dei "memorabili" se lo è ritagliato, imperituro monito alla constatazione che "più si ha, più si vorrebbe", più si avvicina il passaggio del testimone, più a quel testimone noi esseri umani ci aggrappiamo.

In un foglio bianco, trenta righe d'inchiostro hanno chiuso le imposte su cinquantadue anni di storia.
«Sto scrivendo le dimissioni» ci aveva risposto ieri l'altro, l’avvocato Emilio Gelpi nel giorno del primo consiglio comunale dalla fine della guerra che, in qualità di sindaco di Castiglione Intelvi, non avrebbe presieduto.
Lo immaginavamo stanco, disilluso, rassegnato. Pensavamo a due frasi di circostanza, ad un commiato breve e formale di chi non ha nulla da rimproverarsi, ma neppure altro da dire.
Sbagliavamo.
Di primo acchito, vedendolo canuto ed esitante nel passo, avevamo creduto che al massimo dalle scarpe si sarebbe tolto qualche sassolino, non una carriola intera di massi.
«Con la presente comunico le mie irrevocabili dimissioni da Consigliere, non ritenendo di poter condividere il risultato delle elezioni perché - lungi dall'essere la normale espressione di una leale e corretta consultazione democratica - appare frutto fin troppo evidente di una ben preordinata manovra chiaramente diretta a proteggere interessi privati e non il bene pubblico e poggiata su smodate ambizioni di potere e di comando di chi poi non si accorgerà nemmeno di non gestirle autonomamente».
Parole forti. Non le sole.
«Sono spiacente e rammaricato di dover compiere questo gesto nei confronti del mio paese, al quale ho dedicato disinteressatamente tutta una vita, con passione e volontà di farlo progredire sotto ogni aspetto, nonché riguardo ai numerosi elettori che, anche in questa tornata, hanno avuto fiducia in me e nei componenti la lista a me collegata: li ringrazio cordialmente con grande riconoscenza ed altrettanto faccio nei confronti dei miei compagni di lista e di tutti coloro che hanno attivamente collaborato per un esito positivo che purtroppo è mancato in conseguenza della anormalità ed antidemocraticità con cui appare essere stata pilotata la recente consultazione elettorale, anche con inqualificabili insinuazioni su fatti e situazioni personali. E così vedo chiudersi, con grande amarezza, i miei rapporti con l'amato paese di Castiglione, non tanto per il responso contrario uscito maggioritario dalle urne, ma per il modo con cui è stato raggiunto tale responso, che ritengo conseguente soltanto al comportamento scorretto e sleale di pochi che hanno purtroppo coinvolto tanti elettori, se pur inconsapevoli di compiere un gesto gravemente offensivo nei miei confronti».
Un’offesa. Come tale ha interpretato la sconfitta e in quanto tale ha replicato. Usando l'unica cartuccia che gli sia rimasta in canna: lo sdegno. Un sentimento che impugnato da un giovane non meriterebbe altro che di esser censurato, ma in mano a questo ottantacinquenne indomito, che in vita sua ha sostenuto migliaia di cause, predisponendo personalmente solo il pagamento di tre o quattro parcelle, suscita invece rispetto e commozione.
Passano i tempi.
È passato anche il suo.
Un dato di fatto che ha dovuto subire, senza però inchinarvisi.
Vestito e curato di tutto punto, seduto dietro una spoglia scrivania in un troppo ampio e luminoso ufficio in via Grassi a Como, l'avvocato Gelpi ci porge la lettera di dimissioni con la gravità delle consegne scottanti.
«È il paese in cui sono nato, ma non vi metterò più piede» ribadisce duro e amareggiato.
La prima volta che diventò sindaco, i cannoni della seconda guerra mondiale avevano smesso di tuonare da pochi mesi. Il giovane Emilio, laureato da un lustro, cominciava a muovere i primi passi nella professione che già suo padre Nicola, scomparso prematuramente e la cui stinta immagine in tenuta militare campeggia tuttora alle spalle del figlio, aveva esercitato proprio a Castiglione. Fu eletto democraticamente e ricevette la nomina a primo cittadino dalle mani dei rappresentanti locali del Comitato di Liberazione Nazionale. Era il 1947. Cinquantadue anni dopo, a malincuore, quel posto l’ha dovuto lasciare.
«Hanno detto persino che ho favorito i miei interessi, quando io in paese non ho neppure una casa, né un centimetro quadrato di terra. Mi spiace di non aver potuto concludere personalmente l’ultimo grande progetto che avevamo iniziato: la caserma dei carabinieri. A Castiglione ho dedicato ore e ore del mio tempo e adesso che è finita non mi sento sollevato, ma solo deluso».
La lingua batte dove il dente duole. Dieci volte abbiamo tentato di distoglierlo dalle vicende amministrative ed in altrettante occasioni egli, con ostinazione, vi è ritornato. Soltanto quando abbiamo cominciato a chiedergli della famiglia, l'avvocato Gelpi ha allentato la tensione e si è lasciato trasportare dagli affetti.
«Io e mia moglie Giovanna abbiamo cinque figli. L'unica femmina è Maria Vittoria. Poi ci sono quattro maschi: Francesco, Enrico, Paolo e Carlo».
Una nutrita schiera. Enrico, oltre ad esser un avvocato affermato, a Como è noto come presidente del’'Automobil Club Italiano.
«Ah, quello è nato corridore. Le macchine son sempre state la sua passione. Ricordo che, quand’era piccolissimo, già faceva il matto per salire sulle mie ginocchia per guidare la nostra 1400 Fiat. Ora è lui che, aiutato da mia nuora, manda avanti lo studio legale».
La giurisprudenza i Gelpi devono averla nel sangue. A cominciare dal capostipite Nicola e dai suoi figli Lino, ex sindaco di Como ed Emilio, appunto. Per non tacere dei nipoti, Enrico, ma anche Carlo. Quest'ultimo, infatti, si è dedicato agli studi di legge, optando però per il ramo notarile.
Chi invece di norme, regole e pandette non ne ha voluto sapere è Francesco, il quale si è laureato in sociologia e da ormai alcuni anni amministra in territorio svizzero una comunità per il recupero dei disabili, mentre Paolo ricalca sì le orme del padre, ma non in ambito professionale, bensì seguendolo nei passatempi.
«Il mio hobby è sempre stato il “fai da te”. Nella casa che abbiamo a Casasco ho allestito un autentico laboratorio, con tanto di banco di lavoro, smorza, attrezzi e saldatrice per lavorare il ferro. Nei fine settimana mi dedico alle riparazioni a tempo pieno. Con somma mia gioia personale e disappunto di mia moglie che è solita dire: “tieni queste pentole da aggiustare, così le rompi del tutto”».

Nessun commento: