Oggi nessuna domanda esistenziale. Spariglio le carte per parlare di un argomento che riguarda il mio lavoro (l'informazione) e in particolare la pubblicità.
La questione è contenuta in due post (1 e 2) di Gaspar, che a sua volta riprendeva un quesito che si poneva Zephoria, sul fatto che pochi o nessuno clicchino sui banner della pubblicità on line.
La questione è contenuta in due post (1 e 2) di Gaspar, che a sua volta riprendeva un quesito che si poneva Zephoria, sul fatto che pochi o nessuno clicchino sui banner della pubblicità on line.
Un argomento che ieri gli inserti economici delle due principali testate italiane, "Corriere della Sera" e "Repubblica", riprendono con notevole evidenza ed opposti orizzonti.
Se infatti Repubblica, a pagina 27 di "Affari & Finanza", riporta in un articolo la scelta del colosso Procter & Gamble di spostare buona parte delle risorse dell'advertising dalla tv al web (una decisione strategica, secondo il loro responsabile marketing, Jim Stengel), il Corriere della Sera, a pagina 29 di "CorrierEconomia" riporta un articolo di Francesco Margiocco, dal titolo: "Web, pubblicità senza pubblico", con sottotitolo: "Cresce l'investimento per le campagne on line. Peccato che nessuno apra i banner".
Non solo due articoli, ma pure due tesi in contrapposizione evidente.
Senza pretese di scientificità, riporto un parere personale.
Da utente, infatti, non clicco mai su un banner, ma a differenza della tv, non posso evitare di vederlo, con tutti i meccanismi psicologici e comportamentali che ne derivano.
Se fossi un investitore pubblicitario, dunque, non mi preoccuperei del fatto che poche persone clicchino, bensì di quante persone vengano a conoscenza del mio prodotto, semplicemente vedendolo comparire, come una normale pubblicità.
Ecco perché, più che l'opportunità di approfondimento e di interazione che garantisce il web, punterei sull'istantaneità, sull'immediatezza del messaggio e commissionerei uno spot "inevitabile" (non puoi fare a meno di vederlo), "breve, se non brevissimo" (due, max tre secondi) e che soprattutto rimandi a una "sensazione", più che a una "informazione".
Da utente, infatti, non clicco mai su un banner, ma a differenza della tv, non posso evitare di vederlo, con tutti i meccanismi psicologici e comportamentali che ne derivano.
Se fossi un investitore pubblicitario, dunque, non mi preoccuperei del fatto che poche persone clicchino, bensì di quante persone vengano a conoscenza del mio prodotto, semplicemente vedendolo comparire, come una normale pubblicità.
Ecco perché, più che l'opportunità di approfondimento e di interazione che garantisce il web, punterei sull'istantaneità, sull'immediatezza del messaggio e commissionerei uno spot "inevitabile" (non puoi fare a meno di vederlo), "breve, se non brevissimo" (due, max tre secondi) e che soprattutto rimandi a una "sensazione", più che a una "informazione".
Velocità ed emozione, insomma. Come i fumetti di Flash Gordon.
Ieri, aprendo il sito di Repubblica, sono incappato in una pubblicità della Microsoft che aveva queste tre caratteristiche. E ho realizzato perché tale forme di pubblicità hanno un presente e, ancor più, un futuro.
1 commento:
Bella riflessione :)
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