domenica 26 ottobre 2008

Tolgo polvere dal ripostiglio (dei ricordi)


Ieri l'altro, lasciando un commento sulla bacheca FB di Mariagrazia, m'è capitato di ricordare quand'ero studente al liceo e poi all'università e andavo a studiare a casa di Marco (Antonio Giamminola, per tutti Marco). Lo voglio scrivere anche qui, con più calma. Di quella casa, di quell'appartamento ampio, proprio sopra gli uffici della tessitura di proprietà di famiglia, ricordo l'ospitalità dei genitori di Marco, una coppia già anziana, che suscitava ogni volta in me ammirazione. Ora che ci ripenso, erano esempi limpidi di quella borghesia che di Como costituiva la spina dorsale. La mamma di Marco era una Sant'Elia, se non ricordo male, parente di quell'architetto Antonio Sant'Elia, che con Giuseppe Terragni diede forma e vita al "razionalismo". Era una signora alta e dal viso gentile, che non alzava mai la voce e d'un sorriso buono, come quello del marito, che era di poche parole e spesso trovavo seduto in poltrona, mentre leggeva il giornale. La casa di Marco era ogni giorno meta di figli e parenti, poiché la coppia aveva avuto in dote una prole numerosa. Più dei fratelli, che ho sempre visto di sfuggita, ricordo più di tutti la sorella Vittoria, la mamma di Mariagrazia e anche di Betty e Chicco. Ricordo le porte verniciate di smalto chiaro, i vetri che ricordavano la superficie per grattugiare le mele, i pavimenti di graniglia bianca e nera e l'odore della tessitura, l'odore dei telai che intrecciavano trama ed ordito. Mi sentivo a casa, quando salivo i gradini che portavano all'abitazione ed entravo. Ciò che studiavo l'ho dimenticato, non scorderò mai invece il senso del dovere, la cultura del lavoro e soprattutto la dignità, la compostezza e anche l'affetto privo si smancerie, ma genuino, sincero, che trovavo in quella casa. Per me i Giamminola Sant'Elia sono sempre rimasti una stella polare e un esempio, anche se forse a Marco non l'ho mai detto. Lo faccio adesso e glielo ricorderò la prossima volta che lo vedo, in una delle purtroppo sempre più rare rimpatriate tra compagni di banco al liceo.


6 commenti:

valentina orsucci ha detto...

Scusa il commento, ma questa curiosità mi annebbia le altre che il post mi suscita: ma perchè lo chiamavate Marco??

Anonimo ha detto...

Non hai scritto un post, hai dipinto un meraviglioso quadro.
Un quadro che sa di buono, di valori ormai rari, di profumi che non si sentono quasi più.
Un quadro che evoca quasi trine, merletti, e odore di lavanda.
Bellissimo :-)
E bello il tuo conservare quei ricordi.
E fortunato tu che li hai ancora così vivi.
E fortunato Marco o Antonio, non importa il nome, ad avere un amico così.
Chissà se hai avuto modo di dirgliele queste cose, io mi auguro di si :-)
Un dono prezioso che con questo post hai ricambiato.
Bellissimo....
D.

Giorgio ha detto...

Sono rosso. Sono rosso e gongolo, tronfio di vanità, che se non mi tengono inchiodato al suolo, dopo questo commento, m'alzo in volo... :-)

Anonimo ha detto...

Metti una rete di protezione a terra,non voglio responsabilità :-)
Continuerò a leggerti.
La vera cultura, o informazione, è quella che sa unire al linguaggio della conoscenza il linguaggio delle emozioni.
E qui si respirano entrambi.
D.

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie

alina bergamaschi ha detto...

pensa: io sono stata compagna di scuola di una delle due sorelle di marco e tu hai descritto anche i miei ricordi e mi hai commosso.non ho più rivisto marco anche se quando sento sua sorella,io abito a parma da 35 anni.quando marco nacque gli feci una copertina bianca all'uncinetto ed era per lui la copertina di linus. alina