martedì 4 maggio 2010

Fratelli per dono ricevuto


"Che fine hai fatto?" mi chiede Wilma, proprio due minuti prima che mi metta al computer e riprenda il filo spezzato troppi giorni fa. Coincidenze. Anche se non avessi trovato il suo monito, oggi sarebbe stato il giorno in cui avrei scritto, perché forte è la pigrizia ma maggiore il desiderio, quasi la necessità, di mettere in fila qua i miei pensieri, nero su bianco.

Ho trascorso un fine settimana intenso e memorabile, grazie a Milan, un ragazzo di ventiquattro anni, alto due metri e con una faccia da uomo buono, che induce simpatia e rispetto. Quando l'ho conosciuto aveva poco più di dieci anni, era magro come un chiodo e aveva un viso già bello ma serio serio. Rideva pochissimo, però quando lo faceva era come se il cielo spazzasse via le nuvole d'un colpo e gli occhi gli diventavano sottili e s'illuminava in viso. Quel modo che ha di ridere è rimasto lo stesso, ma per spiegare come mai è tornato tra noi devo raccontare la prima volta ch'è arrivato. Era la metà degli anni Novanta e la guerra ha sconvolto tutto. Per lui, croato di nascita ma con sangue serbo, nel paese dov'era cresciuto con padre e madre e due sorelle gemelle più piccole non c'è stato più posto. La storia di quella notte del 4 agosto 1996 - in cui dovette chiudersi alle spalle in fretta e furia la porta di casa e abbandonare sua madre e le sue sorelle, mentre del padre non si sapeva nulla e sull'interminabile colonna di auto in fuga piovevano le bombe degli aerei croati - l'ho saputa solo adesso. Allora, quando venne con il gruppo di altri trenta bambini, ospitati da altrettante famiglie di Lurate Caccivio e del circondario, cavargli una parola era impresa che riusciva solo a mio padre, la cui pazienza era pari soltanto all'assenza di pressione che metteva su ogni interlocutore avesse a fianco. Milan, come ho detto, era magro e taciturno. Restò con noi tre mesi e poi altri tre, l'estate dopo. L'anno successivo fu mia sorella Laura ad andarlo a trovare, a Vrsac, una città tra il confine con la Romania e Belgrado, dove la famiglia si era ritrovata dapprima ospite di una zia, l'unica parente che fosse in grado di ospitarli, e poi per rifarsi una vita, un mondo. Con Milan abbiamo tenuto contatti sporadici, fino a un paio di anni fa, quando con l'aiuto delle nuove tecnologie le nostre strade si sono unite di nuovo. Venerdì scorso è tornato a trovarci ed è stato per noi un magnifico regalo. Lui è cresciuto in altezza e non soltanto. Mi sono commosso quando ha rivisto mia madre, l'ha abbracciata e dopo essersi seduto l'ha guardata negli occhi e le ha detto: "Anna, prima ero piccolo e non capivo, ma ora so, ho capito tutto", facendo segno con le mani come quando si disegna nell'aria e si chiude un cerchio.

Non so se ha capito tutto, perché il male è un abisso di cui è raro vedere il fondo, figuriamoci il senso. Certo Milan è un ragazzo saggio, che ha imparato sulla propria pelle ciò che a me stesso è stato soltanto narrato: la guerra, la fuga, il dolore, la miseria, gli stenti... Ne abbiamo parlato spesso, negli ultimi quattro giorni: mi sono fatto l'idea che da una simile tragedia si esca soltanto più disperati e rancorosi o più saggi e buoni. Lui ha avuto il merito e la fortuna di scegliere quella strada seconda. "Da due o tre anni stiamo bene - mi ha detto, con quell'aria compita da studente modello - perché mio padre e mia madre lavorano e anche io lavoro, ma prima è stata dura. Ora so che nella vita contano soltanto la salute e le persone a cui si vuole bene". Con i soldi che guadagna Milan riesce a mantenere se stesso agli studi e anche le sue sorelle, che vivono in un campus, a Novisad, studiando pedagogia l'una ed economia l'altra. Vorrei raccontare più cose del fine settimana trascorso, dei momenti passati con Isabella e i miei figli o con Laura, Roberto, Anna e Matteo, che sono stati ottima compagnia, trasformando in un campo fiorito anche il silenzio. Mi fermo qua, ribadendo quanto a Milan sono grato, per avermi ricordato che si può essere fratelli anche senza avere lo stesso sangue, ma per elezione e dono ricevuto.
Foto by Leonora

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