lunedì 19 ottobre 2020

Punto e a Capo (Valle)

I "luoghi del cuore" non sono soltanto quelli del Fai. Esistono per ciascuno di noi, pietre preziose incastonate nel diadema dei giorni che la sorte ci porta in dono.
Uno di essi per me è Capovalle, una crosta di case al colmo di Val Sabbia e Val Vestino, tra il lago d'Idro e quello di Garda, nel punto in cui la provincia di Brescia si affaccia sul Trentino, dove esiste tuttora l'edificio che un secolo addietro faceva da dogana al confine austro-ungarico.
È lì che ha radici la famiglia della mamma di mio cognato; è lì che sopra un pendio cinquant'anni fa hanno appoggiato uno chalet di legno ch'è un incanto; è lì che ogni agosto ho vissuto i giorni di vacanza più semplici e insieme memorabili che esistano.
Quest'estate siamo tornati, l'anno prossimo invece non lo rifaremo e quelli dopo neppure.
Tutte le cose di questo mondo, per quanto belle, finiscono, e pure quella baita da fiaba ha segnato il capolinea, il punto messo alla fine del capitolo.
Un addio doloroso per Fulvio e Danila, che in quel borgo, tra quelle stanze che profumano di pino hanno trascorso il nocciolo della loro esistenza, ma anche per noi, ospiti occasionali e testimoni di una  generosità che vale più di qualsiasi somma di denaro, in grado di unire quanto il cemento.
L'ultimo regalo, Capovalle, lo ha fatto proprio con il canto del cigno, insegnandoci ad affrontare il dispiacere del distacco, il dolore quasi fisico dovuto alla consapevolezza che nulla sarà più come prima, che non è possibile tornare indietro.
Affrontarlo fa male, ma è la legge ineluttabile che accompagna ogni essere umano.
Vale per i beni materiali e ancor per le persone, quando se ne vanno: l'ultima pagina si chiude, resta però il libro, la grandezza e la bellezza di quanto vissuto, i momenti goduti, i mille ricordi intrecciati tra loro.
I "luoghi del cuore" si chiamano così proprio per quello, perché nel cuore trovano dimora e rimangono.

P.S. Lo spiedo bresciano. Fulvio e suo papà, il "signor" Bruno, a torso nudo. La poltrona di pelle rossa nel patio, con i cani che di notte ci salgono. Il monte Stino. La pianta solitaria. I fumetti di Diabolik e di Tex Willer sulle mensole delle camere da letto. Il profumo del caffè il mattino presto, che sale tra le fessure delle assi del pavimento. Le gite con pranzo al sacco. Quella volta al monte Manos in cui il sacco con il pranzo ce lo siamo dimenticato e siamo dovuti tornare per mangiare un panino. La cena da Tullio, pagata da Angelo. "Cose, animali, città, capitali, piante..." e i giochi la sera, prima di andare a letto. Le tazze di metallo smaltato al posto dei bicchieri. La doccia da fare a turno. La Ktm da cross che c'era in garage e che abbiamo fatto partire, un pomeriggio. La pesca della trota nel torrente. La volta in cui siamo andati a sparare in un tiro al piattello sui monti, abusivo. Le cene e i pranzi alla buona, in allegria. Gianni e Danila che arrotolano il tabacco nella cartina e se lo fumano. Le moto dei turisti olandesi o tedeschi, che rombano nella strada di sotto. La passeggiata da Moerna a Persone. La lotteria con il quadro (inquietante) vinto, sempre a Persone. Il camino acceso e i maglioni di lana infeltrita tirati fuori dagli armadi, quando fa freddo. I sonnellini, al fresco. La tiritera sui turni di ospitalità ("Andiamo noi", "No, vanno loro", "Ma di solito in quei giorni andiamo noi", "Sì, ma quest'anno gli altri giorni non possono", "Eh, ma cavolo, avevamo già deciso", "Beh, ma per noi alla fine è lo stesso", "Hanno cambiato idea", "Abbiamo cambiato idea", "Va bene così, andiamo noi e anche loro"). L'aver sempre trovato una soluzione, in armonia. La legna impilata con cura. Il cugino Brunetto. La staccionata sbilenca, da ripararne un pezzo ogni anno. La passeggiata per andare a riempire le bottiglie d'acqua gasata, alla casetta sul piazzale in alto al paese. La messa la domenica mattina e i racconti sul vecchio don Basilio. I tornanti che salgono la valle e la sensazione quando scollini il passo San Rocco e sai che dopo duecento metri c'è casa. I bagni al lago d'Idro. La torta di rose. Gli aghi di pino nei pluviali. Manuela che riordina tutto a puntino. La fune tesa tra due alberi e i ragazzi che si lanciano nel vuoto. I cani fuori dalla porta. Adelrosa che ride, di gusto. Mio padre e zio Gianni e Felice in canottiera, che giocano a carte, a Ferragosto.
Tutto questo è stato e tutto questo sarà per sempre, come nelle favole. Lì infatti " felici e contenti" siamo stati, comprendendo cosa sia "famiglia", davvero.

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