In famiglia poi si è sempre guardato con sospetto a chi vuole fare il prete senza esserlo ("Pret fàls" li chiamava mio padre)
Il Vangelo di oggi però, quello della liturgia ambrosiana almeno, continua a rodermi dentro e suscitarmi pensieri che chiedono di uscire in qualche modo, anche a costo di essere depositati qui, senza eccessiva pubblicità, ma neppure nascosti e chiusi a doppia mandata nel cassetto.
Il passo è quello di una parabola, raccontata da Matteo, in cui si fa l'esempio dell'agricoltore che getta abbondante il proprio seme, senza curarsi che vada nel terreno fertile oppure si perda tra i rovi o nei sassi e porti poco frutto o nulla del tutto.
Dio è quella cosa lì. Dio è quell'abbondanza cieca lì, quel continuo creare, germogliare, seminare appunto.
Dio è "hével", che come ha insegnato Erri De Luca in ebraico si può tradurre come spreco ed è ripetuto come una litania nel libro del Qoèlet.
Dio è il contrario di ciò che facciamo spesso noi, cioè misurare, contare, calcolare, programmare, pianificare, risparmiare.
Quando mi si dice che ci stiamo sempre più allontanando da Dio io penso a questo, al nostro continuo "selezionare" piuttosto che "generare", all'uso continuo del bilancino, del braccio corto, del tornaconto immediato, individuale, senza visione abbondante, generosa per il futuro.
L'umanità non si distinguerà per un evento cosmico, apocalittico, bensì per consunzione.
Andremo incontro al peggio quando saremo diventati bravissimi a selezionare il meglio.
P.S. Chi è suscettibile e non crede in un creatore può sostituire la parola "Dio" con "Natura": il pensiero dovrebbe filare lo stesso.
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