sabato 4 giugno 2011

L'occidente ha già vinto (povero Mao)


I cinesi russano. All'università. In classe. In prima fila proprio. Se la dormono della grossa, con tanto di bavetta al lato della bocca e in qualche caso bolla al naso, ragazzi e ragazze, incuranti del professore a pochi centimetri, che in dieci minuti è passato dall'attonito al basito, scocciato, incredulo, perplesso, meravigliato, sconcertato. Non sa cosa fare. Interrompere la lezione e dare loro una sveglia o far finta di nulla? Fa finta di nulla. Poi, sale le scale, entra nell'ufficio del rettore e espone il caso. Aspettano. Il giorno dopo stessa aula, medesima scena, finché alla fine della settimana l'addetta agli studenti stranieri del Politecnico chiede motivo a una delle ragazze cinesi su tale comportamento. "Da noi si usa così" si sente rispondere. A raccontarcelo è lei stessa, l'addetta agli studenti stranieri, non la cinese che russa. Siamo a tavola e dice che l'indomani avranno un incontro con tutti i trecento e passa studenti provenienti da ogni parte del mondo che studiano a Como. "Abbiamo preparato un opuscolo per spiegare le norme di comportamento in Italia. Ci siamo resi conto di quanto fosse necessario qualche anno fa, quando si verificarono gli episodi dei cinesi che russavano in prima fila. Non un pisolino, proprio una domrita bella e buona e non negli ultimi banchi, proprio sotto gli occhi del docente! Nella loro cultura, abbiamo scorperto, si dà molta importanza alla presenza fisica e il messaggio che si vuole dare è questo: sono così stanco che non riesco a stare sveglio, ma nonostante tutto sono qui, a lezione, al mio posto. Non è l'unica differenza, ce ne sono moltissime. Gli indiani ad esempio hanno un tono di voce fortissimo e urlano anche quando sono a lezione, invece di bisbigliare gridano, e disturbano. Non si fa". Già, non si fa. Non qui almeno. Chissà se andassimo noi in quei paesi, che maleducati saremmo... In ogni caso non è per questo che scrivo questo post, bensì per rivelare che i cinesi hanno già perso, sono già stati colonizzati, alla faccia della loro potenza econimica, del loro roboante progresso. Me ne sono reso conto sempre sentendo raccontare dalla ragazza addetta agli studenti stranieri del Politecnico il suo ultimo viaggio in Cina. Per caso ha assistito a un matrimonio. Si sposavano un ragazzo di campagna ("E quando dico campagna dico un giorno di auto in mezzo a campi sterminati per arrivare all'unico villaggio di duecento anime nell'intera regione") e una ragazza di città. Così hanno fatto due matrimoni. Il primo, quello tradizionale, in campagna, è iniziato alle sei del mattino ed è durato cinque giorni, con banchetti, danze e persino pantomine, con il promesso sposo che girava di casa in casa cercando la sua futura compagna armato di un cosciotto di agnello. Poi la ragazza e i genitori di lei hanno preteso di farne un secondo, questa volta in città, come va di moda adesso, in un ristorante di un mega albergo a sei stelle, molto occidentale e anche molto pacchiano. "Non c'erano ufficiali d'anagrafe o preti, monaci o altro, soltanto un presentatore, che per un'intera giornata ha inscenato una vera e propria trasmissione, ripresa con telecamere e mandata in onda su un megaschermo, con tanto di interviste a sposi, parenti e ospiti. C'è da capirli - dice sorridendo la ragazza - se si pensa che il programma più seguito sulla televisione pubblica, la sera, in prima serata, è una sorta di "Amici", modello Hollywood, che guardano decine e decine di persone".
E' qui che mi si è accesa una lampadina. "Povero Mao Tse Tung - mi sono detto - guarda la lunga marcia dove l'ha portato: a un Claudiano con gli occhi a mandorla e a una qualsiasi Den Filipp In con residenza a Pechino...".

P.S. So già cosa scriverà David: "Anche tu all'università dormivi". E' capitato una volta, all'ora di Mozzanica. Ero stanco morto, sedevo in penultima fila ed ero appiattito sul banco, tanto che neppure un satellite spia avrebbe saputo distinguere dove iniziavo io e finiva il banco.

Foto by Leonora

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