Giorni scalzano giorni e mi ritrovo qui, in cima a un monte di cui non ricordo la salita, con i segni del tempo sulla pelle e figli grandi, che sfiorano ormai l'altezza mia. E' un volano la cui velocità costante è un'illusione, mentre in realtà si dimostra assai più rapida di quanto era prima, a immagine capovolta dei cerchi a pelo d'acqua che disegna il sasso gettato dalla riva: lenti, enormi, quando ero un bambini, piccini, fulminei ora, che sono a metà dei quaranta. Piego me stesso all'ineluttabilità dell'esistenza, mi preparo al fine corsa, pur sperando (e illudendomi) che non arrivi mai, che ci sia ancora un tempo infinito prima che accada. Ho nostalgia di ciò che è stato e più non è, ma più forte è la volontà di godere ciò che sono ora. Un paio di giorni fa ho provato il piacere di leggere un articolo di Michele Serra con mio figlio, di condividerne la bella scrittura, il senso e soprattutto l'ironia, la sagacia. Abbiamo riso assieme, senza bisogno di sottotitoli, e mi rendevo conto che Giacomo è così simile a me e nel contempo completamente diverso, unico, altro. Non mi capita di rado di volergli suggerire la via, quasi sempre una scorciatoia. Lo faccio a fin di bene, il suo, della persona amata. A volte è acqua di rugiada, che dopo un quarto d'ora di sole non lascia neanche traccia. A volte addirittura fa danno, perché anni di sapienza non si possono liofilizzare e somministrare formato pillola. Getto un panno spesso sulle mie paure, sui timori del futuro, dell'avvenire dei miei figli. "Se ce l'ho fatta io, che in fondo sono uno sfigato, ce la faranno anche loro". Lo dice la testa, è il cuore che non lo accetta. Non così a scatola chiusa, vorrebbe aggiungere mattone su mattone, regalare - avendole già pagate di tasca mia - architravi di saggezza. Illuso. Come se fosse nel risultato la ricchezza e non nel viaggio intrapreso per raggiungerla. Giacomo domani farà la quinta prova scritta dell'esame di terza media. Del mio ricordo solamente il giudizio finale e una corsa sfrenata, coi compagni maschi, in bicicletta, il giorno in cui furono pubblicati i tabelloni con i voti. Mi sentivo il re del mondo, consapevole padrone di una vita che avevo in pugno e neppure immaginavo potesse essere sabbia, granello dopo granello che scivola via. In questi giorni realizzo un certezza: nella relazione, nel dare e avere, si concentra il buono della vita. Lo scrivo qua, come pro memoria, perché spesso la mia esistenza è in senso unico di marcia: lancio o passo la palla e mi fermo. Poco importa che qualcuno la rispedisca al mittente, che la restituisca, che cerchi quel dialogo che a me viene presto in uggia. Eppure le relazioni umane sono come una spola: s'è ferma, non fa danno ma nemmeno è utile, non funziona.
Foto by Leonora
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