domenica 12 giugno 2011

Luigi "Messo" e lo spirito del vangelo


Più della parola, poté l'esempio. Sul giornale di oggi in quaranta righe ho cercato di raccontare chi era Luigi. Luigi di cognome era Trombetta, ma tutti lo chiamavano Luigi "Messo". Messo comunale in verità era suo padre, Attilio, ma da queste parti in dote si porta pure il nomignolo. Luigi aveva ottantadue anni e da qualche tempo era malato: un cruccio che soltanto i parenti più vicini conoscevano. Lui minimizzava, diceva sempre che stava bene e bene sembrava stare davvero. Sul giornale ne ho parlato perché era un lettore fedele de "La Provincia", che criticava spietatamente ma di cui si sentiva parte, come lo sono migliaia di comaschi, da oltre un secolo. Qui invece mi piacerebbe lasciare memoria di ciò che Luigi aveva di buono e che era molto, come ha ricordato il prete, durante il funerale, con una chiesa strapiena non per caso, anche se egli non era famoso e molti dei coetanei l'avessero preceduto. Non era un santo, questo no. Polemista nato, specialmente in politica dovevi alzare bandiera bianca presto, perché non accettava obiezioni e ti assaliva con quella voce roca che lo distinguevi lontano un miglio e che si scioglieva immancabilmente con un sorriso e una frase sdrammatizzante, che riportava in pari ciò che prima era in bilico. Luigi aveva un talento: quello dell'aiuto fraterno. Ci pensavo oggi in chiesa, mentre ascoltavo la seconda lettura, il brano di san Paolo in cui vengono elencati i vari doni dello Spirito. Di più. Luigi pur non essendo bigotto incarnava alla perfezione il comandamento evangelico del "fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te". Proprio così: fare agli altri. Non "non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" come talvolta - sbagliando - viene riportato. Il vangelo non si limita a una negazione, bensì invita a un moto a luogo, a un'azione da compiere: "Fare agli altri". E Luigi faceva. Nel quartiere dov'è nato, cresciuto e morto, "ul Bidìn", Luigi era per tutti un punto di appoggio, un aiuto. Accompagnava chi aveva difficoltà a spostarsi a far la spesa o in farmacia o, spesso, provvedeva lui direttamente ai bisogni di questo o quello. Con una particolarità all'apparenza poco eclatante ma in verità straordinaria, dirompente: Luigi non aspettava che gli venisse chiesto aiuto, bensì era lui a bussare alle porte, a fare il primo passo, a domandare se si avesse bisogno, spesso senza necessità di attendere risposta, precedendola con un: "Non preoccuparti, ci penso io" ("Ghe pensi mi" meglio, in dialetto). Ora che non c'è più il paese è un po' orfano, ma più della tristezza qui vogliamo segnalare la gioia, la vitalità che, donando agli altri, riceveva per se stesso. Luigi "Messo" adesso è in pace, accanto alla sua Augusta, la moglie che quasi trent'anni fa l'ha preceduto. Erano una bella coppia. Lo saranno all'infinito.

Foto by Leonora

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