Una casa vagamente razionalista, come l'avrei desiderata io (seconda soltanto, nei miei gusti, ad un'abitazione tutta in legno). Aldo Rossini, filosofo, medico e umanista, abitava arroccato a mezza costa, dominando Tavernerio. A differenza di altri personaggi, che non ho più rivisto, lui ho avuto modo e fortuna di incontrarlo altre volte, approfondendo una conoscenza che considero tuttora un privilegio. Ricordo benissimo quando misi in pagina questa intervista, realizzata qualche giorno prima, il 12 febbraio del 1998. Il direttore, Adolfo Caldarini, che mi voleva bene senza però risparmiarnmi critiche quando un pezzo non era scritto come lo avrebbe voluto, mi fece chiamare nel suo studio. Era un sabato, ne sono certo, e già mi arrovellavo pensando a cosa non gli piacesse, dove avessi sbagliato. Invece appena entrato si illuminò in un sorriso e allargò quelle mani affusolate e le braccia lunghe, da pianista o direttore d'orchestra mancato, come per accogliermi in un abbraccio. "Giorgio! - mi disse, ridendo contento, come un bimbo - Giorgio! E' proprio così, vero? Come hai scritto tu, all'inizio! Di fronte a Rossini, alla sua cultura, ci si sente un nessuno!".
Uno legge in vita sua qualche libro. A volte parla in pubblico. Ha modo di farsi una certa esperienza lavorativa. Si ritiene una persona informata e presume di poter comprendere ciò che gli capita quotidianamente di ascoltare. Crede, insomma, di sapere il fatto suo.
Poi incontra il professor Rossini e scopre la miseria delle proprie certezze.
Aldo Rossini, non vanta natali illustri. Egli stesso rammenta come il padre, operaio, abbia faticato non poco per tirar grandi i suoi quattro figli e per farlo studiare (“Ricordo quel periodo come faticoso. Non avevo mezzi. Era dura”). Nato il 1922, ad Albese con Cassano, a vent’anni ha già una laurea in filosofia (“Una passione che ho sempre coltivato”). Nel frattempo inizia la guerra che interrompe le vite, ma non i sogni. Il giovane Rossini vuole diventare medico e, dopo il servizio militare, si iscrive alla facoltà di medicina. “Avevo un forte desiderio di concretezza. Cercavo quel tipo di cultura in cui il pensiero astratto si combinasse con la realtà concreta. Qualcosa non appeso sulle nubi, ma a contatto con la realtà obiettiva, nella quale si può operare in termini di partecipazione umana effettiva. Che poi dovrebbe essere il concetto vero della medicina. Ci sono due momenti del pensare. Lo scrive bene Heidegger, che parla di “pensiero calcolante”, che porta a dei risultati ed è sempre orientato ad uno scopo, e di “pensiero meditante”, che è stato abbandonato, scrive lui, ed è la libera attività della mente, dell’anima. Senza fini particolari, serenamente”.
Il professor Rossini attualmente è in pensione. Una pensione operosa. “Sono presidente del comitato etico del Valduce, dell’associazione per la cura del dolore, della casa di riposo Prandoni di Torno. Tengo le lezioni di storia della filosofia all’università della terza età. Continuo a visitare. Sono assai impegnato”. E’ anche esperto di storia dell’arte e la sua casa somiglia ad una galleria (“E’ il mio modo di salvarmi. Qualcosa per lo spirito tra il pensiero razionale e il lavoro di medico”).
Lei è medico internista. Ha ancora senso la sua professione in un tempo in cui domina la settoriale specializzazione?
“Come no, la specializzazione è solo un ramo della complessità. L’internista, o generalista come dicono gli americani, è quello che incontra il paziente. Tutto il paziente. E cerca di conoscere la totalità di questa persona con la sua psiche, il suo morale, la sua storia. Da questa base di partenza trae un’ipotesi, che poi deve essere verificata o falsificata, come dice il Popper, oppure si stende un programma di ricerche, con un certo ordine. Questo può farlo soltanto il medico che possiede una sintesi culturale abbastanza importante”.
Quando parla Rossini non sentenzia. Semmai offre, propone, suggerisce. Anche in questo modo di porsi comunica modestia (“Mi raccomando, non scrivete ciò che non ho detto e, soprattutto, niente enfasi”). Il suo discorso non procede lineare. E’ piuttosto come un bosco fitto di aneddoti, ricordi, citazioni.
“La bioetica è la scienza del futuro, ma pone problemi antichi quanto il mondo. Già Plinio il Vecchio ammoniva “non omne fas est”. Non tutto è accettabile, non tutto ciò che si può fare si deve fare. Ci sono dei limiti da rispettare, che variano a seconda del concetto di filosofia di ognuno”.
Vorremmo evitare le solite domande, ma le centinaia di persone che hanno assistito al Forum organizzato dal nostro giornale a Villa Olmo sul così detto “metodo Di Bella”, ci inducono ad una deroga.
“Quanto sostiene Di Bella non è scientifico. Condivido quanto espresso durante quel dibattito dal Dott. Cavalli: a Di Bella tocca l’onere della dimostrazione. Una seria sperimentazione è assolutamente indispensabile. Deve riscontrarsi una connessioni di fatti, poiché le percezioni non bastano. Per quanto ne sappiamo ora, potrebbe trattarsi di un caso simile alla polvere simpatica o al fungo cinese o altri molti rimedi che in passato sono stati spacciati per scienza”.
Ci passa per la mente una curiosità. Il professor Rossini, “medico umanista, che ha saputo riportare la professione medica all’antica dignità di arte liberale”, come hanno scritto, crede ai miracoli?
“Se credo in Dio onnipotente il miracolo è possibile. Per verificare se si tratta di un miracolo deve però esser dimostrato che quel fatto non rispetta le leggi della natura”.
Ne è mai stato testimone?
“Ho visto delle cose incomprensibili e meravigliose. Ho fatto anche la parte del diavolo in un processo di beatificazione. Dovetti interrogare i testimoni. Lo feci rendendomi conto, e lo riportai nella relazione, che con i dati conosciuti dalla scienza moderna quello che era accaduto era incomprensibile. Ma non so se ha leso una legge naturale, poiché forse noi uomini non la conosciamo ancora”.
"La conoscenza - è lui stesso a spiegarcelo, prendendo a prestito le parole del Croce a commento dell’opera di Platone - non avviene esclusivamente attraverso l’intelletto. C’è il sentimento. C’è la memoria”. Ci sono le intuizioni e le percezioni e le pulsioni e le sensazioni. Lo sperimentiamo noi stessi. Per conoscere l’uomo che ci sta di fronte, più ancora dell’udito, ci è utile l’olfatto. Non dimenticheremo mai l’odore dello studio nel quale ci accoglie. Odore di carta, odore di libri. Davanti, dietro, da parte. Recenti e antichi, preziosi e economici. Dovunque ci sono libri. Libri usati, letti, vissuti.
Poco incline ad accettare complimenti, il professore si distingue in scrupolosità. “Maria, Maria – si lamenta con la moglie – ho trovato due errori nello scritto che ho mandato a Trieste. Due errori, Maria, stravolgono il senso del discorso, bisogna rimediare, Maria” e nella richiesta si infervora, reclamando quell’attenzione che non gli pare sufficientemente concessa. Ci mostra gli errori. Non ricordiamo il secondo, ma nel primo deve aver scritto un né al posto di un non. Gravissimo. Almeno per lui, che ha la rigorosa abitudine di scrivere nulla senza riportarne la fonte. Chissà se aggiungerà la bibliografia anche sui biglietti augurali, ci scopriamo a pensare al momento del commiato.
Questione di carattere (“Sono un pignolo”) ma soprattutto di serietà. La stessa per cui rifiuta di citare uno scrittore preferito (“Non mi garba una graduatoria, poiché col passare degli anni, gli autori si leggono sotto una luce differente”), ma accetta di consigliare un lista di opere del pensiero filosofico, che lui ritiene fondamentali.
“Io leggerei – e intanto prende carta e penna e comincia a scrivere come se si trattasse di una ricetta medica – Platone e la metafisica di Aristotele. Di seguito metterei il Vangelo e, se uno a tempo, non trascurerei la Bibbia. Sant’Agostino. Va bene fin qui? – si interrompe di tanto in tanto, per assicurarsi della nostra comprensione, proprio come fa il medico prescrivendo la posologia dei farmaci - Di San Tommaso il “De ente ed essentia”. Galileo Galilei e il suo “Dialogo sopra i massimi sistemi”, che segna l’inizio della scienza moderna. Cartesio, il “Discorso sul metodo”, 1637. Ancora, la monadologia del Liebniz. La “Critica della ragion pura” di Kant e poi Bergson e, tra i moderni, la ”Estetica” del Croce. Questo è già un bel inizio”.
Giorgio Bardaglio
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