venerdì 25 marzo 2011

Il prezzo della credibilità (blogger, giornalisti e affini)


Scrivo poco, ma non è colpa mia. Un guasto alla Telecom ha tolto la linea Adsl da casa mia, impedendomi di fatto di aggiornare il blog quando di solito lo faccio: terminato il lavoro, la sera. Il lato positivo è che ho riscoperto il piacere della lettura dei libri, che nelle ultime settimane avevo sacrificato perdendomi nel mare magnum della rete informatica, scoprendo nuovi blog, compagni di viaggio incredibili, capaci di farmi appassionare alle loro vite, togliendo però un poco di spazio alla mia. Ho constatato quanto sia vero ciò che diceva Luca (Mascaro) sulla divisione del "tempo media". Per amor di precisione trascrivo le sue parole: "Quello che stiamo realmente osservando negli ultimi anni è sì un frazionamento del tempo media ma anche un'effetto di concorrenza dell'attenzione. In pratica quello che accade e che usiamo sempre più media nello stesso momento (l'iPad davanti alla tv, il telefono mentre leggiamo il giornale, etc...) e dunque l'effetto non è solo quello della riduzione di tempo ma anche della riduzione di attenzione". Parole sante. In attesa di tornare ad occuparmi di vicende personali (la primavera! Quant'è bella la primavera, ch'è arrivata così prepotente, verde, coi primi fiori rosa, e il sole e il tepore nell'aria?) appunto qui una questione che mi appassiona: il rapporto tra i blog e stampa. Essendo blogger convinto, oltre che assiduo, ma anche giornalista, mi sono convinto che i due strumenti non siano alternativi, bensì possano e debbano integrarsi a vicenda, per offrire un'informazione il più possibile libera e completa. Non è una teoria che professo, bensì la traduzione di ciò che avviene nella pratica. Sul giornale non pubblico ciò che scrivo sul blog e viceversa, lasciando soltanto alcuni punti di contatto, cerniere o punti di sutura tra mondi simili ma distinti.

Sulla grandezza ma anche sulla debolezza ho trovato parole spietate e pure efficacissime su Prima Comunicazione, dove l'autrice della rubrica "Fashion Victims" scrive: "Sono finiti gli stilisti, sono rimaste le aziende che fanno guadagni, sono finiti i giornali sono rimasti i blogger che fanno pietà. Ormai non c'è più sfilata che non veda uno di questi ragazzi (le ragazze meno) vestiti più o meno da donna che sono seduti in prima fila, osannati e riveriti dagli stilisti e anche dalle giornaliste che non capiscono che rappresentano la loro fine finale. Anche io, vecchia scema, pensavo all'inizio che con loro l'informazione di moda sarebbe diventata più seria. Speravo che loro avrebbero potuto dire quello che volevano senza peli sulla lingua, che avrebbero potuto criticare gli stilisti e le aziende. E invece vedo che non è così. Vedo che i blog sono pieni solo di "J'adore" e "I love", di "Amazing" e di "Wonderful". Mai una critica, mai una notizia vera. E poi ho capito che il sistema ingoia chiunque. Basta un posto in prima fila al più spregiudicato ragazzino asiatico per metterlo a tacere su qualsiasi indiscrezione. Basta regalargli una pelliccia io un cappottino di serpente per comprarselo a vita. Basta una foto sul giornale per fargli credere che è uno che conta(ma come, non dovevano distruggere per sempre la credibilità della carta stampata? E invece sono loro che ci credono per primi). Qual è l'apporto venuto da loro? (...) Mi ricrederà quando qualcuno di questi che si farebbero ammazzare per l'ultima mantellina di Chanel inventerà qualcosa di simile a quello che ha inventato Samuel Irving Newhouse, o Edmund Farchild o, più modestamente, Angelo Rizzoli e Edilio Rusconi".

Io sono meno pessimista, ma il pericolo evocato da Fashion Victims non è campato per aria. Esiste però un sistema per risultare credibile: non accettare regali. O, se proprio il caso, dichiararli, non tacerli. Se il sistema vuole comprarti, si abbia almeno il coraggio di mettere il prezzo in vetrina.
Foto by Leonora

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