sabato 12 marzo 2011

Un padre, l'allenatore di calcio e la tentazione malefica

Lavoro un fine settimana sì e uno no. Questo è quello sì e come ogni sabato scalo il Tourmalet, a occhi sbarrati e testa bassa, puntando dritto verso il traguardo della domenica sera. La mazzata è arrivata a metà pomeriggio, quando ho barattato la pausa pranzo per andare a vedere giocare Giacomo. Il fantasma di Giacomo, l'ombra. Un pallido ricordo del ragazzo gioioso che era, quando metteva maglietta, calzolcini e scarpe da calcio. Anche oggi sembrava portare sulle spalle il peso di Atlante e ha impiegato più energie ad allargare le braccia e scuotere la testa che a correre in lungo e in largo per il campo. Lui di carattere è uno che si demoralizza ed è il contrario di me, che al posto dei piedi avevo un ferro da stiro, ma stringevo i denti e non avevo paura di mettere la gamba. L'allenatore dopo cinque minuti l'ha piazzato in difesa e se prima girava a vuoto, di colpo è naufragato come tutta la squadra. Per la prima volta in vita mia m'è spiaciuto per lui, perché si vedeva lontano un miglio che delle qualità che deve possedere un difensore non ne aveva mezza: era lento, non anticipava, non contrastava e manco aveva la malizia di fare fallo quando un'attaccante lo superava, andandosene tranquillo e beato verso la porta. S'impegnava ma era inadeguato, come un albatro quando tocca terra e invece di spiegare le ali deve correre impacciato, sulla spiaggia.
Lo dico? No, non lo dico. Ma sì che lo dico! No, non lo dico. D'accordo, lo dico: per un istante ho anche pensato di andare a parlare con l'allenatore. Io! Io che mi vergogno per tutti quei genitori che credendo di avere in casa Maradona mettono becco e urlano e se la prendono, sbraitano, dispensano perle, consigliano: pensano di essere Mourinho e in vita loro non hanno mai neanche tirato un calcio al pallone davanti alla porta del condominio. Io! Io che ho sempre detto a Giacomo: "Se vuoi con l'allenatore ci parli tu. Se pensi che dovresti giocare più avanti perché nei contrasti sei scarso ma quando alzi la testa riesci a mettere la palla dove vuoi tu e qualche volta anche a segnare, come facevi l'anno scorso, non hai che prendere coraggio e dirglielo. Nella vita mica c'è sempre un padre che si preoccupa per te, che ti allaccia la bavaglia". Io! Io che ho sempre sentenziato serafico quanto il maestro Shifu o Oogway di Kung Fu Panda: "Un calciatore deve imparare a giocare dappertutto" e "Importante è allenare la propria debolezza per trasformarla in forza". E la mia d'una debolezza? M'è passata, scrivendo qui, mettendo in piazza la tentazione, esponendo la colpa. Giuro che non lo farò, giuro che manterrò fede ai miei principi, giuro che continuerò a pensare che Giacomo deve cavarsela da solo, che è soltanto un gioco e che altre sono le cose importanti della vita, giuro che non parlerò all'allenatore!
(Ma allora perché sto tenendo incrociate le dita?)


Foto by Leonora

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Incredibile. Che emozione sentir queste parole, io che, mettendo i guantoni, cercavo di fare del mio meglio, ma di goal ne ho presi tanti. Io che, anche a trent'anni, cercavo lo sguardo di mio papà al di la della rete.
Claudio

Anonimo ha detto...

Ti capisco, pur non avendo figli maschi, nè che giocano a calcio, però ti viene quella tentazione. Perchè è vero che a volte l'allenatore o il maestro di sci, di nuoto, di ginnastica, deve trasmetterti la voglia di chiedere di più, di essere sereno, di giocare con lo spirito giusto. Questo credo lo provino tutti i padri ma anche tutte le madri che vedono un figlio demotivato, può essere??

Micòl.