venerdì 18 marzo 2011

L'unica via (e i ghirigori sulla sabbia)

Il piacere di spegnere la tv e ascoltare musica, mentre accendo il computer, dimenticando immancabilmente lo spunto partorito durante la giornata, mentre sono fermo al semaforo o leggo una frase sul giornale e penso: "Ecco, devo scriverlo sul blog". Poi, mentre lo schermo si illumina, realizzo che quell'idea è volata chissà dove, via. Per farla tornare non resta che occuparmi di altro, confidando che la memoria trovi da sola la strada di casa.
Incontro tanti amici qui, persone di cui nemmeno sospettavo l'esistenza e che "sulla parola" si fidano di me, di questa fotografia "in positivo" di Giorgio, che da queste parti non si fa mai trovare in pigiama, con la barba lunga o le dita nel naso. E' il mio lato A: quello che preferisco e che posso portare a vanto, come un tempo facevo col vestito della festa, la domenica. Oggi, a pranzo, sono stato protagonista di una sorta di "Caramba, che sorpresa", con gli interpreti della storia raccontata sul giornale e anche sul blog, del ragazzino immigrato dal meridione e del padrone di tintoria, che lo fa lavorare ma gli permette pure di studiare. Con me c'era Beppe, il ragazzino nel frattempo diventato stimato professionista, e Ambrogio, che non è l'autista dei Ferrero Rocher, bensì il figlio di quell'Angelo Cavallasca, a cui Beppe deve l'opportunità di aver potuto abbinare il talento al sacrificio, per cambiare vita. Di solito sono restio a questo tipo di appuntamenti, ma ero stato responsabile di quell'incontro e mi spiaceva mancare. Eravamo solo noi tre ed è stato piacevole, oltre che commovente. Mentre parlavano, scambiandosi riferimenti e ricordi, pensavo al destino e a come i fatti, gli eventi, le storie, si debbano giudicare soltanto dalla coda. Beppe da ragazzino aveva tutto, era figlio di un imprenditore che in Sicilia aveva una posizione, oltre che una piccola fortuna. La malattia del padre ha distrutto quel limbo e dilapidato il tesoro accumulato, costringendo un ragazzino di tredici anni a cominciare da zero, straniero in una patria che solo negli anniversari si dimostra unita. Le vicessitudini hanno piegato ma pure dato forma e nerbo a quel giunco spezzato, che se adesso è quel buono che è, lo deve anche alla prova che ha dato di sé, nella sventura. Chissà chi sarebbe ora Beppe se suo padre non si fosse ammalato, se la radice non fosse stata strappata. Magari un capitano d'industria, un luminare dell'isola o forse un poco di buono, cresciuto nella bambagia. Non lo sapremo mai: unico è il solco che lasciamo tracciato in terra, i "ma" e i "se" sono buoni per i ghirigori sulla sabbia, ma non spostano di un granello la realtà accaduta, l'unica senza appello e senza via di ritorno. Proprio come la vita.


Foto by Leonora

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