venerdì 29 luglio 2011

Bardaglio, Scarafoni e ciò che unisce il mondo


Chiedo scusa se in questi giorni parlo molto di me. Le ragioni sono due. Primo: pur ammettendo di non conoscere neppure me stesso, sono colui che conosco meglio. Secondo: credo che ogni vicenda personale, nell'istante in cui è raccontata, celi un che di universale, un comune denominatore che magari può esser pungolo o spunto di riflessione anche per altri.
In questi giorni è in Italia David W. Bardaglio, con la moglie Ellen, la figlia Ivy e il figlio Winn. David è figlio di George Bardaglio e fratello di Peter e George II, il ramo americano dei Bardaglio. Con la famiglia David abita a Burlington, nel Vermont (uno stato stupendo, assai verde, conosciuto per la produzione di latte e di sciroppo d'acero, dove - per stessa ammissione di chi lo ama - è inverno per nove mesi all'anno e per i restanti tre mesi c'è brutto tempo). David è stato a Roma, poi Firenze, Venezia, Verona, Como e oggi è tornato in Valtellina, a Berbenno, dove ci sono le nostre radici comuni e un sacco di parenti, soprattutto suoi. In particolare, con me nei panni di improvvisato e colorito traduttore, abbiamo fatto visita a una mezza dozzina di figli di Liliana Bardaglio - prima cugina del padre di David - che ha sposato Lino Scarafoni. Scarafoni sembra un nome di Napoli ("Ogni scarrafone è bello a mamma sua") e invece no: gli Scarafoni sono della Valtellina, anche se ce n'è qualcuno a Roma e qualche altro tra Umbria e Marche. Sta di fatto che nell'ordine oggi abbiamo incontrato: Mariuccia, Rosetta con Giovanni, Genoveffa (vedova di Vincenzo Scarafoni) e Gino con Bianca e il loro figlio Demis con la bella moglie Elena e le loro splendide bimbe: Nicole e Silvia. Purtroppo non c'era Jessica, la sorella di Demis, che era al lavoro, così come Paolo, Mirko e molti altri, mentre per strada abbiamo incontrato e ci siamo fermati con un'anziana cugina, Jolanda, che di cognome non fa Scarafoni, ma Bardaglio, come noi. Scarafoni è invece Pina, che abita a Sondalo e David incontrerà domattina, e anche Tosca e altre quattro sorelle, di cui ora mi sfugge il nome (chiedo scusa).
Trascrivo queste cose, che sembrano tratte da una pagina del libro biblico dei Nomi, in modo accidentale. Il motivo vero è un altro. Per la precisione è il senso di famiglia che ho ricavato, accompagnando David e Ellen e Ivy e Wynn e prima di loro George, Ruth, Peter, Wrexie, Anne, casa per casa, a Berbenno. Non solo a dimostrazione che il legame tra persone supera le barriere del tempo e dello spazio, ma anche a scoperta delle cose che davvero valgono nella vita. Mentre loro parlavano e io traducevo, tra me e me pensavo che per quante ricchezze si possono avere, per quanto lussuose possano essere le case, nulla conta più del sedersi attorno a un tavolo, guardarsi negli occhi e scambiarsi informazioni, narrare. Che poi è l'essenza stessa della storia dell'uomo, che ha inizio proprio nel momento in cui si racconta, si condivide, si fa memoria. Prima era il buio, la condizione selvaggia, l'oblio, il nulla persino. Oggi eravamo persone così diverse, così lontane, non solo geograficamente, eppure così intime, così vicine, e la narrazione, il raccontarci le cose, ci univa ancora di più. Sono stato bene oggi, in Valtellina, pur se in apparenza poteva sembrare faticoso dare retta a così tante persone, fare da spola tra lingue che non si incontrano. In realtà è stato bellissimo, arricchente. Sono grato a David e alla sua famiglia, per avermi offerto l'occasione di poterlo fare. E più di tutti sono grato a George, che da un paio d'anni ci ha lasciati, e che non solo è stata scintilla del nostro ritrovarci, ma anche maestro di vita e di affetto sincero, l'uno per gli altri, instancabile motore e tessitore di rapporti. Come avrei desiderato che oggi, insieme a noi, ci fossero anche lui e pure mio padre, per potere avere risposte e non solo domande.

P.S. I've think to translate this post for all the American Bardaglios, but Google translator probably is better than me

Foto by Leonora

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