martedì 12 agosto 2025

Il peso del non detto (Quattro)

Dire o non dire ciò che si pensa, in particolare quanto stride, divide, separa? Ci rifletto spesso e ho idea vaga delle scelte che avresti fatto tu, che per certi aspetti eri schietto, in altre situazioni preferivi il silenzio, anche se alla lunga erano parole castrate, che avvelenavano, e capitava infine che uscissero ugualmente, portando con sé il carico esplosivo del represso.
Se dovessi dunque cavare una regola generale di comportamento, scriverei questa: meglio dire.
Oppure non dire, ma soltanto se si è capaci di dimenticare. Scordare davvero, non per finta: cancellare proprio e andare avanti come nulla fosse successo. Un esercizio meritevole quanto arduo, anche perché come specie siamo allevati coltivando memoria, non disperdendola quasi fosse fumo.

P.S. La differenza la fa sempre il modo. Anche nel dire. Si può farlo sbraitando, sbattendo in faccia come guanto di sfida il proprio astio o sibilando parole taglienti più d’un rasoio o, al contrario, con mitezza, con garbo, cercando di mettersi anche nei panni dell’altro. Questo non me lo hai insegnato tu, che appartenevi a una generazione ancora fieramente radicata nel primitivo, capace di dispute epocali, che avevano una loro fisicità persino. Una feralità, una ferinità che sento ancora mia, ma che tengo a bada, assicurandola al guinzaglio e permettendole di uscire soltanto in occasioni rade, quasi sempre quando ho consapevolezza di sedermi dalla parte del torto. Perciò la associo alla debolezza: chi è forte, chi si sente nel giusto, non si scompone. La prossima volta che alzerò la voce cercherò di ricordarlo.

Nessun commento: