Il mare ha questo di suo: dimentica. Dà orizzonte e pare immutevole, ma è un eterno rimescolio e onda su onda cancella le impronte.
Lo farò, se riesco, nei prossimi giorni, che son di festa pur essendo feriali: è la feria d'agosto.
Comincio da qui, dal verbo «scrivere», tempo presente, prima persona singolare: da quando lavoro di nuovo per un giornale è tornata attività principale. Ogni giorno curo una pagina, quella delle «Lettere al direttore», rispondendo di volta in volta. Lo facevo già a Monza e mi piace molto, per tre motivi: è un darsi una disciplina e nel contempo confrontarsi continuamente, godendo di quella risorsa inesauribile ch'è la varietà. Specialmente a Brescia, città che mi ospita e di cui mi piacerebbe parlarti - lo farò, promesso - apprezzandone la cultura, ampia e profonda insieme.
In più, di scritto, ci sono i messaggi personali, che stimolano sempre, anche se rispetto a quando c'eri tu ha fatto capolino una nuova forma di comunicazione: i "vocali". Dicono stiano scalzando la forma scritta, nel mio caso hanno più sostituito le telefonate. O, meglio, è come un telefonare, ma puntiforme, senza accavallamenti e sovrapposizioni: prima parlo io, poi ascolto, poi rispondo, poi sento la replica...
Non sono certo ti sarebbero piaciuti, ma nonostante la tendenza a giudicare severamente tutto ciò che è nuovo, in dosi omeopatiche hanno una loro positività, giuro (con una regola però: mai più lunghi di sessanta secondi, un minuto).
Infine scrivo su questo blog, che tengo alimentato con rigore asburgico, almeno una volta a settimana, mantenendo la traiettoria che per esso ho via via disegnato, di rappresentare un lascito, qualcosa che parla di me, di noi. La pretesa labile, eppure confortante, di battere così la morte. O almeno pareggiare.
P.S. La verità è che, sulla pretesa di sopravvivere "oltre", ho raggiunto una disillusione «calma, senza sgomento». Niente angoscia, prostrazione, scoraggiamento, semmai serenità consapevole. Se ci penso, infatti, ho interesse che resti qualcosa non per me, bensì di me, ma soltanto per chi conosco, per i miei figli soprattutto, affinché sia mitigato loro il dolore del distacco, che ho provato a mia volta e so quanto sia lacerante, esplosivo. Degli altri mi importa meno. Se avessi ambizione di aspirare alla posterità, peccherei di vanità, dimenticando il Qoelet, nel miraggio che qualche idea, qualche concetto, possa ritenersi universale e giudicato in futuro interessante da perfetti sconosciuti. Ciò però non mi tocca, non essendo in mio potere, non dipendendo da me, appartenendo, come ogni dettaglio dell'esistenza, al destino. Per cui, nella certezza che il treno continuerà a correre, preferisco imitare un ben altro Giorgio, Caproni, chiosando senza infingimento: «Scendo. Buon proseguimento».
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