lunedì 11 agosto 2025

La città svelata (Tre)

Ho scoperto cosa significa "città" ieri l'altro. Forse qualche giorno addietro, non molto. Prima ne ho frequentate parecchie, in qualcuna ho lavorato, in un paio abitato.
Su di esse anni fa ho letto un libro, bellissimo, d'Italo Calvino. "Città invisibili" sono state pure le mie, nel senso che le avevo davanti agli occhi, ma non le vedevo. Ci camminavo in mezzo, le attraversavo, mi restava poco, ero turista di passaggio anche allorché vi sostavo.
A Brescia, dopo un anno e mezzo, è caduto il velo.
Da un giorno con l'altro, come raccontano coloro che vanno in un paese straniero, non conoscono la lingua e sentono suoni indistinti per mesi, finché d'improvviso, un mattino o a mezzogiorno, ascoltano le conversazioni di chi è a loro vicino e comprendono tutto.
Brescia, dicevo, mi si è svelata così, all'improvviso. Un istante prima ne percorrevo le vie in superficie, un momento dopo mi ci sono immerso e m’è apparsa viva, precisa, varia quanto un mosaico. Un quadro impressionista, meglio: multistrato, una pennellata sull'altra, cultura e storia che sedimentano. 
Qualcuno me l'aveva anticipato: “È bellissima” avevano detto.
Per mesi l'ho osservata senza m'impressionasse nulla, se non gli angoli da cartolina che vanta ogni borgo. A confronto di Como e di Bergamo mi pareva meno presepe, più a grana grossa, tonda tonda, senza dettaglio.
Non era lei, ero io. O forse sono le città che decidono, che nascondono la loro essenza finché trovano chi le apprezza, mostrandosi per quel che sono. Fatto sta che una sera, mentre camminavo, man mano che procedevo, invece dei soliti muri, delle strade, dei locali, mi si è aperto un mondo. A qualsiasi crocicchio un segno, oltre ogni portone un dettaglio, un reperto medioevale o romano, tutti i palazzi con scorci delle generazioni che si sono succedute.
Philippe Daverio diceva che l'arte o è classica o è barocca. La prima cerebrale, la seconda mossa delle viscere. Ed è quest'ultima che emoziona di più ("Per l'altra non è mai svenuto nessuno"). Se è così, Brescia è barocca al cento per cento. Anche se non ce ne si accorge subito.

P.S. Ci siamo lasciati a Como e mi ritrovi ora decine di chilometri più a est. Nel mezzo ho vinto la pigrizia, facendo scelte di vita, non soltanto lavoro. Tu non c'eri ma centri, poiché nessun altro mi ha fatto mettere radici quanto te, che eri sradicato, avendo abbandonato la tua terra di montagna da ragazzo e costruendo casa dove tuttora l'abbiamo. Io mi sono sempre sentito "di quella casa" e tale mi reputo adesso, anche se la mente razionale sa che posso stare ovunque senza contraccolpo. Brescia è l'ultima tappa, quella più scelta e meno capitata di tutte. Sorrido pensando se fossi qui, tu che guidavi tutto il giorno ma oltre il raggio dei trenta chilometri era impresa titanica, da farti venire il mal di stomaco. Per non parlare di Milano. Lì non ci sei mai voluto andare. "Prendi un taxi", dicevi. Il taxi non l'ho mai preso, nemmeno quando a Milano sono stato a studiare negli anni dell'università e poi per lavoro. Ora che ci penso, sono state tutte piccole conquiste che mi hanno permesso di sentirmi meno inferiore rispetto a te, impedendomi di restare schiacciato.

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