giovedì 5 novembre 2009

Cinque novembre, sette anni


Cinque novembre. Il compleanno di Giovanni: il settimo. Lo sarebbe stato anche di mio padre, se fosse stato ancora vivo, ma a suo tempo non l'abbiamo mai festeggiato. Tranne il settantesimo, quello che sarebbe stato l'ultimo e che s'è rivelato stupendo. C'erano tutti i suoi amici e lui che sapeva che ci avrebbe lasciato presto ma che quel giorno stava proprio bene ed era contento lo stesso. Me lo ricordo seduto sulla panchina di vimini, con gli occhi chiusi e che ascoltava le chiacchiere dell'Ambrogio, del Gigi, dell'Amelio, del Giulio, del Filippo ridendo, con quell'espressione del volto e quella mimica che ha sempre avuto e che oggi mi trovo io stesso a fare, come se parte di lui si fosse trasmessa naturalmente in me, senza chiedere il permesso. So che anche oggi, quattro o cinque volte, ho detto qualcosa e mi sono portato la mano al viso e ho scosso il capo con lo stupore, mentre lo facevo, di essere la sua fotocopia, e sembrandomi proprio lui, nell'intimo, fuori e dentro.
Giovanni ha avuto tre regali: un pacchetto di Gormiti che parlano, una bicicletta Bmx e tre scatole di Lego, una grande e due più piccole. E una pallina che si illumina, lo stavo dimenticando: gliel'ha comprata sua mamma all'uscita dalla piscina, mentre io brontolavo che si poteva evitare di spendere quell'euro, perché non è giusto abituarli che si può avere tutto. Ma era il suo compleanno e la mia è stata più scena che altro. Ora è di là, nella stanza sua e di Giacomo, che dorme, con indosso il pigiama di ciniglia a strisce nere e arancioni di Tigro; ormai gli è piccolo, ma non l'abbandona neanche morto e noi men che meno, perché vedendolo così ci sembra sempre il Giovanni piccolo piccolo. Giacomo invece ha perso la sua prima partita ufficiale quest'anno, ai rigori, contro il Sagnino. Non meritava di uscire dal torneo ma il calcio è così e la sconfitta tempra, forgia l'uomo. Io sono orgoglioso di lui perché quando l'allenatore ha chiesto chi se la sentiva di tirare i rigori, su undici solo in tre hanno alzato la mano, lui compreso. Quando si è avvicinato al dischetto volevo sprofondare ed ero sicuro che avrebbe fatto meta, tipo rugby, scagliando il pallone dritto in cielo. Invece l'ha calciato benissimo, forte e a mezza altezza, imparabile pure se in porta ci fosse stato un gatto. Peccato abbiano perso, però sono giovani, si rifaranno. Tanto domenica si replica già, a Mariano.
Foto by Leonora

4 commenti:

silvia ha detto...

Che tenerezza, sentire parlare dei figli piccoli. Che nostalgia, adesso che sono grandi. Ti senti vecchio perchè tuo figlio entra in facebook? E allora cosa farai quando te lo dirà lui, in faccia, che lo SEI vecchio, altro che solo SENTIRSI vecchio, e te lo confermerà anche la figlia?
... Io mi faccio consolare da mio padre, che ogni tanto mi dice "te paret una tuseta"... Lo so che non è vero e che ogni scarrafone è bello a papà suo, ma mi fa piacere lo stesso.

andre ha detto...

...ieri mia figlia ha vinto la sua prima partita a pallavolo! qualche buona azione, alcune dormite, un disastro in battuta!!! ma quanto è bello fremere sugli spalti come se in palio ci fosse il mondiale e in campo italia-cuba dei mitici Zorzi e Lucchetta!!!

Miranda ha detto...

Mio padre è morto da 26 anni, ed è passato così tanto tempo che quasi stento a ricordarlo... eppure ogni tanto mi sento stampato sul volto una smorfia che so sua, mi ritrovo a fare un gesto, inconsapevolmente che mi fa sentire come se fosse lui a farlo quel gesto...mistero inspiegabile dell'amore, della mancanza, della nostalgia di ciò che si è irrimediabilmente perduto e che pure si continua a cercare...grazie per averlo tradotto in parole...non era facile...

Giorgio ha detto...

@ Fuma: ma tu sei ancora una tùseta!
@ Andrea: ho scoperto che hai un blog, me lo sono letto, m'ha tenuto compagnia e servito per pensare. Grazie
@ Miranda: il "mistero inspiegabile dell'amore"... Sei tu che hai saputo spiegare ciò che io ero riuscito soltanto a descrivere. io mi sono limitato al "come", tu hai risposto al "perché"