domenica 31 luglio 2011

Steve Jobs, Tolkien e la morte come dono


Ultimo giorno delle due settimane di ferie, da domani si ricomincia al giornale, il lavoro.
Sono stati quindici giorni di riposo, incontri, viaggi e buone letture. Computer e tv satelittare sono tornati intrattenimenti sporadici, a fronte del predominio di contatti personali e libri. Caso ha voluto che in due di essi, pur differenti per epoca, autore e genere, abbia trovato un comune denominatore.
John Ronald Reuel Tolkien, ne "Il Silmarillion", narra che la morte è un dono esclusivo riservato agli Uomini dal creatore stesso, Ilùvatar. Solo l'ombra del maligno, Melkior, confonde la mente debole dei figli di Iluvatàr, rendendoli prima dubbiosi, poi timorosi, infine inorriditi dalla morte, al punto da ritenerla una sciagura e non più un dono (per di più un dono esclusivo, poiché narra Tolkien che le altre creature di Ilùvatar, cioè Valar ed Elfi, non l'hanno ricevuto e gli Elfi, in particolare, provano invidia di questo, essendo sconosciuto a tutti, tranne allo stesso Ilùvatar, ciò che il creatore ha riservato dopo la morte per i suoi figli secondogeniti, gli Uomini appunto).
Qualcosa di simile, pur se meno poetico e più concreto, l'ho trovato in un ottimo saggio di Luca De Biase ("Cambiare pagina", edizioni Bur), che riporta una frase di Steve Jobs, l'anima di Apple, il quale agli studenti di Stanford, nella famosa lezione tenuta in un giorno di sole del 2005, tra molti pensieri disse anche questo: "La morte è probabilmente la migliore invenzione della vita". Intendeva dire, come sintetizza De Biase, che la morte "prima o poi arriva a generare il cambiamento".
Un cambio di prospettiva affascinante, che mi trova d'accordo, pur se la morte è un ombra sul mio cammino, come su quello di ogni uomo e donna, credo. Tuttavia, pur se è un calice che nessuno beve volentieri (neppure Gesù di Nazareth, il Dio dei cristiani fatto uomo) se dovessi scegliere se mantenerla o abolirla, opterei per la prima soluzione. E pur sapendo che quando verrà il mio momento, se avrò la lucidità di rendermene conto, cercherò di restare aggrappato con le unghie a questa vita, vorrei averla spesa tutta nella convinzione e nella serenità che essa è un dono e come tale va accolta, pur se non ne comprendo completamente il senso.

Foto by Leonora


1 commento:

Anonimo ha detto...

Dai cassettini della mia memoria qualcuno scrisse che:
la morte è parte integrante della vita, nel senso che ne è un aspetto fondamentale, imprescindibile. La morte dà addirittura significato alla vita, poiché una vita senza morte non sarebbe umana o terrestre, non apparterrebbe neppure all'universo. E io aggiungo che per un cristiano credente, la morte è paragonabile a un "parto" per la nuova vita.La vita terrena non ci appartiene ed è la cosa giusta per tutti. C'è una bellissima poesia di Totò o il Principe de Curtis che ogni tanto vado a rileggere "A livella" dove veramente fa meditare. Ciao e scusa per la lunghezza del pensiero.