Rimando di un giorno la recensione del villaggio Porto Kaleo (tanto sta chiudendo e fino al giugno prossimo non riapre) per due parole sulla Calabria.
Scrive Cafecaracas a commento del post che precede questo: "La vacanza piu' bella della mia vita l'ho passata proprio in Calabria, a Soverato. L'accoglienza, l'ospitalità, la gentilezza che trovammo lì, ci sorprese e ci fece riflettere sui nostri stupidi preconcetti".
Verissimo. Ospitalità, gentilezza, accoglienza li ho sperimentati anch'io.
Non solo. Mi ha affascinato il racconto di un signore di Arezzo, che a Marinella di Cutro andava a fare campeggio libero trent'anni addietro, quando non esistevano alberghi e strutture attrezzate ma unicamente sperdute case di contadini. Uomini e donne dai volti segnati dal sole e dalla terra grigia di quelle parti, persone d'una povertà che faceva spavento ma che non accettavano soldi o compensi per le verdure che andavi a chieder loro, per abbinare alla carne il companatico. "Gli uomini - ci ha detto il toscano, che nel frattempo s'è costruito una casetta a Scalea - quando ti fermavi a chiacchierare un minuto, avevano sempre in tasca dei ceci tostati, che ti offrivano al momento del congedo, in segno di amicizia. E le donne guai a farti pagare quattro uova o mezzo chilo di pomodori. Per lasciare un mille lire dovevo fare i salti mortali e, quasi sempre, lasciarli sul tavolo e scappare, mentre erano affaccendati in qualcos'altro".
Una fierezza e una generosità senza pari, come dicevo, ed è questa la Calabria che tuttora ci fa restare ammirati, quella che leggevamo nei libri di Alvaro, una terra aspra eppure per molti aspetti del tutto simile a mille altre zone rurali d'Italia, da Ragusa a Bolzano.
Ma c'è un'altra Calabria che in tutta onestà e schiettezza detesto. E' la Calabria dei paesi dove le case sono tutte appiccicate, brutte, quasi sempre senza intonaco oppure non finite o lasciate a metà, con enormi pilastri di cemento, il tetto e qualche parte finita qua e là, a seconda del caso.
E più ancora la Calabria dell'immondizia lasciata ai bordi delle strade, lungo i sentieri incantevoli che dal mare si inerpicano sui rilievi circostanti, sulle spiagge: bottiglie, sacchetti di plastica, imballaggi di polistirolo, vecchi frigoriferi, sacchi neri, pneumatici... Di tutto.
Non ne conosco la ragione, non so perché avvenga, come mai non si abbia cura della propria terra, della culla stessa in cui ogni essere umano lì è cresciuto.
So di rischiare il ridicolo, proponendo soluzioni a problemi complessi e profondi e che sono intrecciati con la natura stessa di una gente che non conosco a fondo. Tuttavia, sforzandomi di pensare che la via migliore che unisce due punti sia sempre la linea retta, ho un suggerimento: cinque ore settimanali di educazione civica in tutte le scuole della penisola, dalle elementari fino al liceo.
Se non possiamo convincere gli adulti dello scempio che attuano, proviamo a formare i nostri figli, insegnando loro che non si gettano i rifiuti per terra, non si abbandonano, che occorre avere rispetto per l'ambiente, in qualche modo preservarlo, custodirlo.
Ore e ore di educazione civica, sia teorica, mostrando il disastro che viene compiuto da chi è incivile, sia applicata sul campo, portando tutti i ragazzi in età scolare a pulire, a eliminare e in qualche modo compensare ciò che generazioni di nonni e di padri ha creato. I figli devono essere coinvolti e responsabilizzati in prima persona, in modo che quando tornano a casa diventino loro i paladini del buon costume e pretendano dai genitori un comportamento più congruo, assillandoli e stressandoli finché la smetteranno di essere sciatti, di comportarsi come se l'intero creato non sia altro che una fogna, dove abbandonare il superfluo.
Foto by Leonora
1 commento:
Approvo in pieno quello che hai scritto.Magari non sarà la soluzione di tutti i mali,ma sarebbe un bel segnale per cambiare una mentalità anti-ecologica.
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