Me ne sono accorto ieri, andando a Luino e passando per il lago di Ghirla.
D'estate con Angelo, quando avevamo quindici, sedici anni, partivamo di pomeriggio e non ci fermavamo per chilometri, con pausa in Valganna, appena dopo la galleria, in quella che adesso è un'enorme casa vuota ma allora ospitava ristorante, birreria. Poco prima, in uno spiazzo sulla destra, c'era sempre un venditore ambulante di frutta. Insieme compravamo mezzo chilo d'uva e lo mangiavamo, lavandola alla cascata d'acqua di fronte. Quando tornavamo invece, giunti a Lurate, era sosta obbligatoria al bar Bugnoni e la gara ricominciava, ma a suon di gelati al limone. Anche tre, quattro coppette per volta, io, Angelo altrettanti, ma preferiva i coni.
Questi però sono dettagli. Che importa è l'ardire, l'assenza di timore, di calcolo. Sessanta, settanta, cento chilometri in bicicletta e non da corsa, con i cambi, ma da donna. Non ci spaventava la fatica, la meta cancellava tutto ciò che stava nel mezzo. Il resto era un salto, pur se durava mezza giornata e ora, visto da qui, assomiglia a un'impresa se non folle, certo ardua.
Se lo scrivo qui è perché in quell'incoscienza sta tutta la grandezza dei giovani. E lo dico ora, che pur non farei cambio con i miei sedici anni in fatto di consapevolezza, di serenità, di soddisfazione per la vita. Ma il non porsi limiti, il coraggio, il cuor di leone, la generosità non hanno pari.
Perciò, se dipendesse da me, darei ai ragazzi più responsabilità civili, sociali, mentre accade l'esatto contrario: siamo un paese in cui ci si abbarbica al potere e non lo si molla fino agli spasimi. Perdendoci in due: i giovani, perché diventano vecchi senza poter contare, e i vecchi, perché si condannano a comandare mentre potrebbero passare il tempo godendosi appieno la pienezza degli anni.
Foto by Leonora
D'estate con Angelo, quando avevamo quindici, sedici anni, partivamo di pomeriggio e non ci fermavamo per chilometri, con pausa in Valganna, appena dopo la galleria, in quella che adesso è un'enorme casa vuota ma allora ospitava ristorante, birreria. Poco prima, in uno spiazzo sulla destra, c'era sempre un venditore ambulante di frutta. Insieme compravamo mezzo chilo d'uva e lo mangiavamo, lavandola alla cascata d'acqua di fronte. Quando tornavamo invece, giunti a Lurate, era sosta obbligatoria al bar Bugnoni e la gara ricominciava, ma a suon di gelati al limone. Anche tre, quattro coppette per volta, io, Angelo altrettanti, ma preferiva i coni.
Questi però sono dettagli. Che importa è l'ardire, l'assenza di timore, di calcolo. Sessanta, settanta, cento chilometri in bicicletta e non da corsa, con i cambi, ma da donna. Non ci spaventava la fatica, la meta cancellava tutto ciò che stava nel mezzo. Il resto era un salto, pur se durava mezza giornata e ora, visto da qui, assomiglia a un'impresa se non folle, certo ardua.
Se lo scrivo qui è perché in quell'incoscienza sta tutta la grandezza dei giovani. E lo dico ora, che pur non farei cambio con i miei sedici anni in fatto di consapevolezza, di serenità, di soddisfazione per la vita. Ma il non porsi limiti, il coraggio, il cuor di leone, la generosità non hanno pari.
Perciò, se dipendesse da me, darei ai ragazzi più responsabilità civili, sociali, mentre accade l'esatto contrario: siamo un paese in cui ci si abbarbica al potere e non lo si molla fino agli spasimi. Perdendoci in due: i giovani, perché diventano vecchi senza poter contare, e i vecchi, perché si condannano a comandare mentre potrebbero passare il tempo godendosi appieno la pienezza degli anni.
Foto by Leonora
Nessun commento:
Posta un commento