Guardare il proprio figlio giocare a calcio: uno dei piaceri sublimi della vita. Quest'anno Giacomo ha cambiato squadra, passando alla Faloppiese e lasciando l'Itala. Una scelta ardua e, fino a due mesi fa, inaspettata, tanto che se non fosse stato per una coincidenza, avrebbe continuato a giocare a Lurate Caccivio. Lui però, quel giorno fissato per firmare il cartellino (ebbene sì, per chi non lo sapesse, c'è un cartellino anche per bambini piccoli) era in montagna e io, che sono pigro, l'ho presa come scusa per convincere me stesso a rimandare di una settimana. In sette giorni sono cambiate molte cose: Giacomo ha giocato un torneo con i suoi vecchi compagni della squadra dell'oratorio, ha vinto il torneo di Limido e mentre tornavamo a casa, in macchina, mi ha detto: "Papà, che peccato che l'anno scorso non mi hai fatto andare alla Faloppiese". "Come non ti ho fatto andare - ho replicato, già in leggero affanno - eravamo tutti e due d'accordo che l'Itala sarebbe stata meglio, è più vicina, non facciamo fatica a portarti, ci giocano i tuoi amici, è stata persino fondata da un tuo zio (Gilberto Ballerini, detto ul Bertu)...". Parole. In verità dentro me pensavo che in effetti l'anno scorso era stata un'idea più mia che sua, che già tre anni fa quelli della Faloppiese avevano chiesto a Ciccio - l'allenatore della squadra dell'oratorio - di farlo giocare con loro, che un giorno magari mi sarei pentito di non avergli prestato ascolto e che dopotutto, a dodici anni, aveva diritto a dire la sua e scegliere ciò che reputava meglio. Ma una cosa, nonostante Isabella continuasse a ripetere che andare a Faloppio era un problema, mi ha convinto più di tutto: il timore che un giorno mio figlio mi rinfacciasse: "Sei tu che non hai voluto". E siccome il calcio per me è una cosa seria, ma rimane soprattutto un gioco, un divertimento, m'è sembrato giusto accontentarlo. Pur a malincuore, lo confesso, per gli amici che abbiamo lasciato e con un profondo senso di gratitudine per dirigenti e allenatori dell'Itala. In particolare, oltre ai vari Ettore, Egidio, Aldo... vorrei scrivere qua che persona straordinaria sia Rosario Lo Monaco, che sarebbe stato il suo allenatore quest'anno e per cui l'addio è stato un fulmine a ciel sereno. Non scorderò facilmente il mezzogiorno in cui gli ho telefonato, per ufficializzare l'intenzione di cambiare squadra e, mentre io ero in evidente imbarazzo, lui ha capito la situazione ragionando come un padre, oltre che un amico. "Quante storie!" penserà qualcuno, che non conosce il mondo del calcio e penserà che sono esagerato. Sarà certo vero, ma per come siamo fatti, per come sono fatto, mi sentivo legato a un impegno e mi è spiaciuto - pur per motivi comprensibili - rompere il patto. Sta di fatto che, due mesi dopo quella scelta, devo ammettere che Giacomo aveva ragione. E non tanto perché la Faloppiese è mediamente più forte delle squadre che incontra e vince spesso (una volta però ha anche perso 3 a 0, pur in amichevole, con il Bulgarograsso e comunque il campionato è appena cominciato). Piuttosto, sono sollevato perché anche lì ha trovato persone di notevole spessore umano e vedo mio figlio divertirsi, andare ad allenarsi e a giocare contento. Per me non importa altro.
P.S. Ieri l'altro, sapendo che lo avrebbe comunque letto sul giornale, ho spiegato a mio figlio, meglio che potevo, cos'era successo a pochi chilometri da noi, a quel ragazzino che aveva soltanto undici anni e che era morto, in quel modo così assurdo e tremendo. Giacomo di anni ne ha uno in più ed è sensibile e quando gliel'ho detto si è come immagonito, poi mi ha chiesto un paio di cose, ma non ha voluto leggere nulla e con una scusa è salito a giocare. Oggi evidentemente ne hanno parlato in classe o tra compagni, poiché una volta tornato da scuola ha chiesto a mia madre il giornale di ieri, dov'era raccontata la tragedia. Terminato l'articolo, a mia mamma è venuto spontaneo chiedergli: "Hai visto Giacomo? Chissà che gli è passato per la testa?". E Giacomo, che con i suoi dodici anni si sente già un ometto, serio ha risposto: "Cosa vuoi, nonna, era un bambino..."
P.S. Ieri l'altro, sapendo che lo avrebbe comunque letto sul giornale, ho spiegato a mio figlio, meglio che potevo, cos'era successo a pochi chilometri da noi, a quel ragazzino che aveva soltanto undici anni e che era morto, in quel modo così assurdo e tremendo. Giacomo di anni ne ha uno in più ed è sensibile e quando gliel'ho detto si è come immagonito, poi mi ha chiesto un paio di cose, ma non ha voluto leggere nulla e con una scusa è salito a giocare. Oggi evidentemente ne hanno parlato in classe o tra compagni, poiché una volta tornato da scuola ha chiesto a mia madre il giornale di ieri, dov'era raccontata la tragedia. Terminato l'articolo, a mia mamma è venuto spontaneo chiedergli: "Hai visto Giacomo? Chissà che gli è passato per la testa?". E Giacomo, che con i suoi dodici anni si sente già un ometto, serio ha risposto: "Cosa vuoi, nonna, era un bambino..."
Foto by Leonora
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