sabato 2 febbraio 2008

Dietro la porta chiusa

Oggi ho pianto. Ho pianto a lungo, in silenzio, senza vergogna ma con pudore, chiudendo la porta della stanza e nascondendo gli occhi con l'incavo del braccio.
Ho pianto leggendo le parole di Mario Calabresi e del suo "Spingendo la notte più in là", che mi ha dato ieri mia madre e che racconta la storia della sua famiglia e di altre vittime del terrorismo.
Sono arrivato a pagina 30 e l'ho riposto sul comodino. Almeno per oggi sono io a non spingere la notte più in là e voglio conservarle care quelle pagine, la testimonianza di un dolore e di una redenzione. Ha quasi la mia età Mario Calabresi, solo qualche anno più giovane, come Antonia Custra, figlia di Antonio, ucciso da un colpo di pistola nel 1977, mentre faceva il poliziotto in Via De Amicis a Milano. Entrambi non hanno conosciuto il padre e a me torna in mente il mio. Ho pianto oggi e non me ne vergogno, anche se ho cercato di fare piano, e ho chiuso la porta della stanza e mi sono coperto gli occhi con il braccio.

8 commenti:

Elena Trombetta ha detto...

Mi siedo di fianco a te.

Elena Trombetta ha detto...

Mi siedo di fianco a te.

Luisa L.G. ha detto...

Ho visto in differita su Rai sat extra la trasmissione speciale di Ballarò sul tema e mi ero ripromessa anche io di leggere il libro... un pò per non dimenticare... un pò per rimeditare... un pò per imparare. E comunque ho già messo in conto qualche piangiutina tra un capitolo e l'altro.

valentina orsucci ha detto...

Il potere dei libri, della memoria, e di chi li sa ascoltare.

Giorgio ha detto...

Il libro l'ho finito e merita, davvero.
Nel leggerlo ho avuto ancora qualche cedimento, ma non la fragilità iniziale, sulla quale ho riflettuto a lungo.
Di solito non parlo di queste cose, ma avendo scelto un'eccezione mi sento in dovere di aggiungere la spiegazione che poi mi sono dato.
Come ho scritto, leggendo di quei padri mi è venuto in mente il mio.
E il dispiacere inconsolabile era di non poterne parlare con lui, di non poterglielo raccontare, di non discutere di quel libro, di quelle storie, di quelle vicende, come abbiamo sempre fatto. Mi veniva da piangere, credo, perché per la prima volta me ne rendevo conto.
Grazie a chi è passato di qui e ha lasciato un pensiero, forte per me come un abbraccio.

Luisa L.G. ha detto...

Ora ho letto anche io una buona parte del libro e l'emozione è affiorata pian piano anche perchè subito dopo ho anche rivisto la trasposizione teatrale che ne ha fatto Luca Zingaretti.
Pensavo che la cosa finisse lì ed invece mi sono persa nel tentativo spasmodico di ricostruire alcuni dei pezzi di quell'Italia: e allora ho rivisto il documentario che Pasolini aveva curato sulla morte dell'anarchico Pinelli e mi sono ricordata delle illegalità che hanno riguardato il suo fermo e delle reticenze del Capo dell'Ufficio Politico Antonino Allegra; e mi sono ricordata dei racconti di amici più grandi di me, di quelli che, a quei tempi, avevano fatto dell'impegno sociale una ragione di vita e ho sentito riaffiorate le loro tensioni e le loro paure.
E poi ho rivisto la sentenza del Giudice Istruttore D'Ambrosio che se è stata chiara e limpida nell'escludere le responsabilità del Commissario Calabresi, non è stata, a mio avviso, altrettanto utile per la ricostruzione della dinamica della morte di Pinelli.
Ed ancora ho rivisto le infinite tappe giudiziaria che hanno riguardato la strage di Piazza Fontana: una serie di tronconi che tutti si sono conclusi tutti con assoluzioni sia per i mandanti della strage sia per gli esecutori materiali: nessun colpevole dunque anche se è politicamente e giudiziariamente acclarato che non si trattò di una strage di matrice anarchica (in questo senso la morte di Pinelli appare ancora più assurda) ma che c'entrava la destra, i servizi segreti, la strategia della tensione.
E poi ho rivisto tutta la sequela delle sentenze del processo Sofri, condannato alla fine con i suoi complici per l'omicidio del Commissario Calabresi sulla base delle dichiarazioni del pentito Marino, dichiarazioni intrinsecamente poco lineari e confortate da riscontri molto discutibili.
E insomma alla fine ne sono uscita esausta, con un senso di impotenza e di incompiutezza e tanta malinconia.

Giorgio ha detto...

Condivido la malinconia e anche i dubbi su come andarono effettivamente le cose.
Però, proprio per questo, ho apprezzato ancora di più il libro di Calabresi, che difende la memoria del padre senza calpestare quella di coloro che stavano dall'altra parte, che la pensavano diversamente e che in qualche modo contribuirono a creare quel clima di odio e rancore che culminò con atti di violenza irrimediabili.
La parte in cui egli evidenzia le omissioni e le responsabilità di colleghi di suo padre in Questura, la posizione che prende quando si parla di concedere la grazia a chi è stato giudicato colpevole, mi sembrano di uno spessore che non ha nulla della banalità con cui siamo abituati ormai noi a giudicare le cose.

Luisa L.G. ha detto...

C'è tanto buon senso in quello che dici e ci sono percorsi umani tracciati nel libro di Calabresi che colpiscono le corde più profonde e sincere.
E ci sono considerazioni che spesso non possono che essere condivise.
Ma forse è proprio questo che confonde e sconvolge ancora di più.
A me è solo venuto spontaneo (una specie di spinta compulsiva che è durata sino a metà nottata)ricollocare quegli eventi drammatici nel loro contesto, altrettando drammatico, direi.