Non butto mai nella pattumiera il pane. E non sopporto che venga posato capovolto sulla tavola. Comportamenti che mi sono stati tramandati dai miei genitori, cresciuti in un tempo in cui il cibo era sacro e non si conosceva abbondanza, se non di stenti e vita agra. Ci pensavo oggi, a pranzo, mentre mia madre diceva ai miei figli: "Con il pane non si gioca". Giovanni e Giorgia l'hanno ascoltata ma senza neppure guardarla, comprendendo di quella frase il precetto, non la ragione. Chissà se un giorno, tra quaranta o cinquant'anni, anche loro diranno ai nipoti di aver cura del pane. Chissà quante cose faccio io ora e che mi sono state trasmesse senza che, a differenza del pane, ne conosca il motivo, ne comprenda l'origine. Chissà quante cose si perdono da una generazione all'altra.
Passo di palo in frasca e non per modo di dire. Oggi parlavo con Sabrina dei cipressi. Ne ho voluti in giardino tre e lei, quando l'ha saputo, s'è scandalizzata. "Mi ricordano i cimiteri" ha detto. Lo diceva anche mio padre, che infatti non li ha mai voluto attorno a casa. Io però ho in mente la Toscana, i casolari, le colline ben curate, i lunghi viali, i prati... e i cipressi, così lineari, snelli, ordinati, eleganti. Mi spiace per mio padre e per la mia amica: per me i cipressi sono un tutt'uno con quella meraviglia dell'uomo, quei capolavori realizzati non con pittura e pennello, bensì seminando e piantando alberi, modellando non blocchi di pietra o creta, ma l'intero paesaggio. Sono orgoglioso dei miei tre cipressi, così come del "cornus" e dell'acero che fa intravedere già le gemme, anticipo di primavera nonostante il gelo. Sono piante piccole, è vero. Isabella brontola, perché le avrebbe volute già alte, robuste. Forse ha ragione, ma cresceranno, tenendo compagnia alle nostre giornate e insegnandoci la pazienza che noi, esseri con le gambe, non riusciamo più ad avere e neppure immaginare.
Foto by Leonora