Giorgia ha paura di non riuscire ad addormentarsi. Forse l'ho già scritto e la situazione non è migliorata. Anzi no. A pensarci bene è migliorata eccome, infatti da qualche settimana dorme da sola nella sua stanza (mentre prima preferiva quella dei fratelli maschi, cedendo la sua stanza all'impavido Giovanni). Ciò che resta invece è la sua ansia che è tardi... che al mattino successivo farà fatica ad alzarsi... che non ce la farà a dormire insomma. Da padre comprensivo e che ricorda di non essere stato immune da paure quand'era bambino (temevo che i miei genitori, nel bel mezzo della notte, uscissero di casa e mi abbandonassero lì solo, al buio) non le ho mai fatto pesare la cosa, raccontandole che io non ero troppo diverso da lei, da piccolo; rammentandole che nelle 3000 e passa notti precedenti (dal giorno in cui è nata, insomma) non è mai capitata una sola notte in cui sia rimasta davvero sveglia; consigliandole di mettere la testa sotto il cuscino e pensare a cose belle, di sognare a occhi aperti finché il passaggio dalla veglia al sonno diventa naturale. E proprio mentre le stavo dicendo queste cose, ieri, ad un tratto m'è venuta in mente una cosa che mio padre mi ha ripetuto centinaia di volte prima di ammalarsi. "Giorgio - mi diceva - io sono sempre stato contento perché sono sempre stato un sognatore". E per sogno lui intendeva non tanto quelli che accadono nella fase Rem, bensì quelli ad occhi aperti, che forse sarebbe più corretto chiamare "desideri, speranze, ambizioni, attese, aspettative" o, meglio ancora, "aspirazioni". Forse non è esatta nemmeno questa definizione. Mi rendo conto che nel momento in cui me lo diceva, io capivo, realizzavo perfettamente cosa intendeva, anche perché anch'io sentivo di essere così, ma adesso ch'è venuto il momento di mettere tutto nero su bianco trovo le parole inadeguate al concetto. In ogni caso, me lo appunto qui, perché ieri sono stato catapultato indietro nel tempo e non vorrei dimenticarlo di nuovo.
Foto by Leonora