Aveva una faccia sola e già questo lo rendeva speciale, se non unico.Nino Balducci ha tolto il disturbo una settimana fa, lasciando ciò che più amava, cioè le figlie Manuela, Roberta, Federica, i nipoti, il lavoro e Como, inteso soprattutto come calcio, la passione di una vita.
Ne parlo ora poiché prima l'hanno fatto tutti, com’è giusto che sia, per una persona che non si è mai risparmiata e che ha ricevuto in morte il tributo che meritava: la riconoscenza delle molte persone che lo hanno conosciuto, ciascuno cavandone qualcosa di buono, senza ombra di smancerie o affettuosità da operetta.
Nino infatti era comasco fino al midollo, come ne son rimasti pochi, gente di schiena forte, di maniche rimboccate, di cuore, ma altresì di modi asciutti e durezza.
Una durezza iscritta forse nei geni, con il sospetto però che si sia arrampicata loro addosso da piccoli, come l'edera, a causa dei tempi grami in cui sono cresciuti, del pane duro mangiato e guadagnato quando ancora avevano i calzoni corti, in assenza di agi ed alternativa.
Un tratto caratteristico comune agli abitanti di questo lembo di terra - ho in mente lo stesso stile in Angelo Migliavada, ma anche in mia mamma - che non deve essere rinnegato, bensì definito e compreso se si vuole continuare ad estrarre dalla radice della pianta una linfa buona, oltre a riconoscere un'originalità e un'appartenenza non soltanto di crosta.
Aveva una faccia sola, ho scritto in principio, poiché quei modi spicci e concreti non li mascherava, usando con chiunque lo stesso timbro, fosse il potente di turno o il povero diavolo al bordo della strada.
Se dovessi elencare tutti i ricordi, gli aneddoti, le confidenze fatte e ricevute, i momenti condivisi, impiegherei una vita. Ne faccio a meno volentieri, poiché in ogni caso non riuscirei a esprimere neppure lontanamente la pulizia di sentimenti, la stima, l'affetto ricambiato che mi legava a lui e che non era esclusivo, considerato appunto che Nino era un generoso e a chi gli andava a genio non lesinava un'apertura di credito illimitata.
Il bello, di questo modo di essere, di fare, è che finché campo so che incontrando chi lo ha conosciuto potrò scambiare chiacchiere e condividere memorie e sorridere di mille storie, dando e ricevendo, in eguale misura.
Anche per questo, per questo seminare spontaneo e continuo, Nino vive e vivrà a lungo, come una tra le persone che sono più onorato di conoscere, a cui voglio bene, tuttora.
P.S. Ho atteso qualche giorno ma mi è capitata la mattinata giusta per ricordarlo, in questo primo maggio che cade di domenica e che per cielo terso, sole limpido, clima mite, brezza lieve, può competere per "il miglior giorno dell'anno", uno di quei giorni che sarebbe stato bello andare insieme allo stadio, al Sinigaglia, o sopra Schignano, dove aveva il suo buon ritiro, la sua baita.