Non è mia abitudine, di questi tempi, mischiare ciò che scrivo qui con ciò che si può leggere sul giornale. Faccio un'eccezione, poiché la storia che ho raccontato oggi, nella rubrica che tengo ogni sette giorni, credo meriti considerazione. E' la vicenda di un ragazzino arrivato negli anni Sessanta a Como dalla Sicilia. Suo padre laggiù era un imprenditore. Si ammalò e per curarsi, per avere una speranza di vita abbandonò tutto, portandosi appresso la famiglia. Di soldi non ce n’erano e nonostante avesse voglia e talento per studiare, quel cucciolo d’uomo si ritrovò in tintoria. «Il primo giorno - ricorda ora - fu terribile. C’era vapore dappertutto, gli anziani mi diedero un secchio di colore con dentro un mattone, dicendomi che era sapone e che dovevo scioglierlo, di non smettere assolutamente, per nessun motivo. Io sudavo e sudavo e dopo un’ora, non vedendo nessuno, cominciai a urlare: "Non si scioglie! Non si scioglie!". Le risate per lo scherzo seguirono i rimbrotti e i "Ma va là, terùn". Furono però quegli stessi uomini, settimane dopo, a parlare con il padrone della tintoria, a dire che avevo dovuto interrompere gli studi di geometra, che mio padre era malato, che meritavo un’opportunità. Così mi fece chiamare e mi disse: "Tu da domani al mattino vai a scuola e vieni a lavorare al pomeriggio. La sera, se hai bisogno di studiare, invece che alle nove finisci prima, non c’è problema. Ma se sei bocciato, il patto è rotto e ricominci a lavorare come tutti gli altri". Lo feci. Al mattino ero tra i banchi, già con nella cartella il panino da mangiare al volo per pranzo, per essere subito dopo in fabbrica. Non solo a volte uscivo prima, ma mi ritrovavo spesso anche soldi in più, in busta. Così sono potuto andare all’università. E se voglio bene a questa città, è per quelle persone dure, coriacee, che ti facevano fare la gavetta ma poi andavano dal padrone a perorare la tua causa. Per quel padrone che guardava la lira eppure sapeva dare valore a chi lo meritava».
Quel padrone di cognome faceva Cavallasca, la tintoria era la Voltiana di via Giulini, in centro città, e quel ragazzo si chiama Beppe, è un padre di famiglia, un professionista capace e un uomo stimato, per primo da me. Lo ringrazio, perché senza fronzoli ha saputo spiegarmi meglio di tutti gli altri lo spirito dei comaschi. Uno spirito da non dimenticare, specie ora, che pare ridotto a un lumicino.
Quel padrone di cognome faceva Cavallasca, la tintoria era la Voltiana di via Giulini, in centro città, e quel ragazzo si chiama Beppe, è un padre di famiglia, un professionista capace e un uomo stimato, per primo da me. Lo ringrazio, perché senza fronzoli ha saputo spiegarmi meglio di tutti gli altri lo spirito dei comaschi. Uno spirito da non dimenticare, specie ora, che pare ridotto a un lumicino.
Foto by Leonora