giovedì 30 settembre 2010

A bocce ferme


Perdo i colpi. Vedo un sacco di film, in pratica uno ogni sera, e leggo. Continuo a leggere. Scrivo meno, tranne che sul giornale. Qui meno. Ci sono tempi in cui appiccicare pensieri da queste parti diventa bisogno; altri uno sforzo. Mi ripeto che lo faccio per me stesso, ma non è vero. Lo faccio per chi mi legge, ora o in futuro, conoscenti o estranei che siano. Scrivere è tessere fili che legano gli uni agli altri e insieme lasciare traccia di sé, riempiere il vuoto.
Foto by Leonora

mercoledì 22 settembre 2010

Miti e buoi dei paesi tuoi


Induzione. E' una bella parola e pure un modo per comprendere e descrivere chi siamo partendo dalla coda. Lo pensavo ieri, all'uscita da un curva (non so proprio perché all'uscita di una curva e non lungo un rettilineo): ognuno ha i suoi miti e anche se non ne è consapevole di volta in volta, quasi sempre le sue decisioni sono orientate da quel modello di riferimento. Potrebbe essere un buon test per le prove di assunzione. "Il candidato scriva in tutta sincerità quali sono i suoi eroi letterari o cinematografici o televisivi di riferimento". Il problema è la sincerità. Non avendo nulla da perdere e neppure da guadagnare, provo ad elencare di getto, alla rinfusa, quelli che ritengo i miei.

Sono cresciuto con i film e telefilm americani, della distinzione netta tra buoni e cattivi, con Zorro che si prende cura dei deboli e combatte i prepotenti. A scuola, in storia, non mi affascinava la figura di Cesare, bensì quella di Cincinnato, che accetta il potere, adempie con rigore e coraggio al suo dovere e poi torna in campagna, lasciando ogni carica e onore. Se dovessi scegliere un eroe, ne sceglierei dodici: i professori universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista, senza clamore di fanfare o clangore di spade, semplicemente opponendo alla forza la ragione e la coerenza. "Preferirei di no" è la sintesi perfetta del loro gesto, e anche il titolo del libro che ne parla, scritto da Giorgio Boatti. Non erano militanti di partito, né comunisti o rivoluzionari. Per la maggior parte liberali, qualcuno di essi cattolico di vecchio stampo.
Non vi ho mai fatto caso e non so darmeme una spiegazione, se non forse l'umiltà della famiglia in cui sono nato, ma ho una sorta di empatia per gli sconfitti. Tra Achille e Ettore ho sempre preferito Ettore, e se subisco il fascino dell'astuto Ulisse più che per l'ingegno è per la disavventura che gli capita, di errare per isole e mari senza tornare a casa, in patria.
Presumo l'obiezione che verrà fatta, che una simile visione non coglie la complessità del mondo, della vita e si addice più a un bambino che all'adulto. A volte e per certi aspetti non è male però restare per sempre piccoli.

domenica 19 settembre 2010

Un altro discorso


Ognuno ha i suoi rimpianti (io ho temuto per anni di non avere rimorsi, ma questo è un altro discorso). Il mio principale è non essere andato ad abitare un anno o due all'estero (un altro è aver smesso quasi subito di giocare a pallone, ma anche questo è un altro discorso). Ho radici profonde, neppure riuscivo a immaginare di lasciare genitori, amici, abitudini varie per trasferirmi in qualche paese lontano, tipo l'Inghilterra o la Francia, a Parigi, oppure gli Stati Uniti, che sono sempre stati la meta ideale (al tempo dell'università mi avevano chiesto di lavorare per un anno alla Caritas di Colonia, in Germania, ma questo è un altro discorso). L'altro giorno ero seduto a un tavolino di piazza Mazzini, con una bella ragazza che si chiama Sarah e che sta concludendo una ricerca sul lago di Como. Sarah è francese ma vive da anni in Australia e mi spiegava qualcosa di quel continente lontano, uno stato grande quanto l'Europa, se non di più, in cui vivono appena una ventina di milioni di abitanti. E' un paese con spirito anglosassone, mi ha detto, ordinato, vasto, con incredibili opportunità di lavoro (cercano ingegneri stranieri perché quelli di casa vanno tutti a fare i camionisti, guadagnando un sacco di soldi, ma - tanto per cambiare - è un altro discorso) ed è usuale staccare il venerdì pomeriggio e ogni tre o quattro anni prendere qualche mese di riposo, per rilassarsi o fare un viaggio. "Hanno case ampie, ottime scuole, un ritmo di lavoro neppure paragonabile per intensità al nostro e una natura incontaminata e maestosa - raccontava Sarah - sembra di vivere nelle favole . Tanto per dire: sulla spiaggia ci sono enormi barbecue per l'uso comune, con tanto di bombole del gas, e nessuno si sogna di rubarle o distruggerle, ma questo è un altro discorso" (stavolta l'ha detto lei, io non c'entro!). Lei non vivrebbe lì per sempre, perché le piace viaggiare, è giovane, ha in mente l'Africa, però mentre lei parlava pensavo che non sarebbe male se mi trasferissi io. Noi, intendo, tutta la famiglia. Una bella casa sull'oceano, ritmi tranquilli, un futuro luminoso per i figli... "Perché no?" pensavo. E per la prima volta in vita mia s'è insinuata la tentazione di lasciare tutto, di ricominciare da un'altra parte e in fondo in fondo di essere altro rispetto a ciò che sono. Ma pure questo è un altro discorso...


Foto by Leonora

giovedì 16 settembre 2010

L'ho letto


Lo spunto me l'ha dato una chiacchierata tra amici, in cui si sosteneva che esistono libri che non si leggono, bensì si rileggono. "Ho appena riletto I Miserabili...", "Quest'estate ho riletto Guerra e Pace...". Un modo per tirarsela insomma. Il tarlo però m'è rimasto: io, pensavo, "Guerra e Pace" non l'ho mai letto. Di più: i russi non li sopportavo proprio. Iniziato qualcuno, finito nessuno. Noiosi. Lunghi. Un po' come le barbe degli stessi autori. De "I fratelli Karamazov" non ho mai oltrepassato le cinquanta pagine, "Guerra e Pace" mi stroncava addirittura prima, con tutte quegli incisi in francese e la cronaca minuziosa di un ricevimento barboso, senza nemmeno la possibilità di capire i protagonisti, in quella selva di nomi da far invidia alla foresta amazzonica, altro che i bei boschi di betulla, con filari ordinati, che pur crescono a casa loro.

Stavolta è stato diverso, a conferma d'una teoria che - dopo anni d'esperienza - considero un assioma assoluto: i libri ti chiamano loro. Puoi iniziarli mille volte ma finché non sei pronto, finché non si realizza quella congiunzione astrale perfetta tra te e loro, rimarranno sempre uno scoglio. "Guerra e Pace" mi ha tenuto compagnia durante tutte le vacanze in Sardegna, quattro volumi che mi hanno appassionato, un intero universo contenuto in mille seicento pagine, in cui Tolstoj riesce a trattare tutti i temi che interessano l'uomo, al di là dello spazio e del tempo. Il risultato è un capolavoro, che costituisce a sua volta la base per opere magnifiche, che come polloni da un albero sono cresciuti sotto le sue fronde, ricavandone linfa e nutrimento. Penso a Mario Rigoni Stern o a Primo Levi, al tema della fuga, ma anche a quello della felicità e infelicità imperfetta. Avrei voluto il computer con me, per appuntare le emozioni, i sentimenti che di giorno in giorno scaturivano dalla pagine lette. Ora è tardi: di quella brezza fresca è rimasto un vento lieve, qualche folata ch'è parente lontana dell'impatto di quei giorni. Pazienza. Ricordo qui solamente due o tre schegge di memoria. La varietà dei personaggi, ad esempio. La capacità di Tolstoj di farceli sentire vicini e lontani ognuno in egual misura, senza mai dividere il cattivo dal buono, come poi è nella vita, in cui ciascuno contiene in sé sia l'angelo sia il demonio. E poi il cambiamento con lo scorrere degli anni: anch'io, esattamente come i protagonisti, sento di essere diverso rispetto al Giorgio che ero e probabilmente a quello che sarò, perché la vita è così e se - generalmente - si banalizza, traendo d'un uomo un tratto caratteristico, in verità sono talmente differenti gli elementi che soltanto un libro così ben scritto può avvicinarsi alla realtà e dire non il finto, bensì il vero. Mi sono sorpreso più volte, man mano che leggevo, nel notare in questo o quel personaggio me stesso, ma anche i miei amici, i conoscenti, i colleghi. E ancor oggi, che pur ho finito di leggerlo da un pezzo, non c'è discorso di famiglia o di lavoro in cui riesce ad evitare di rimandare a questo o quell'episodio del libro. Prima o poi, giuro, dovrò rileggerlo.


Foto by Leonora

venerdì 10 settembre 2010

Il viaggio degli innocenti

"Gli innocenti non sapevano che quella cosa era impossibile. E la fecero". E' una delle frasi che preferisco, credo di averla ascoltata a un incontro pubblico di Martinazzoli, anche se non sono sicuro che l'espressione esatta fosse quella. Il senso sì. Mi è tornata in mente oggi, mentre leggevo il giornale. Un'intervista a Gigi Del Neri, che alla domanda: "Qual è stato l'allenatore che più ha cambiato il calcio", ha risposto: "Sacchi". Sacchi non ha mai giocato a pallone. Credo non sia casuale: per innovare occorre scostarsi il più possibile dal solco segnato. Forse anche più del possibile. Penso anche all'esperienza personale, quando sono passato dalla tv al giornale, che proprio in quei mesi aveva cambiato impostazione grafica. E' stato assai più agevole per me adeguarmi alla novità e la mia "tabula rasa" è diventata un punto di forza mentre l'esperienza dei colleghi più anziani s'è trasformata in un fardello. Prendiamo il disegno delle pagine: dovendo arrangiarmi, è stato naturale imboccare la via più rapida e agevole, mentre chi era abituato a lavorare di righello ha faticato a spogliarsi dell'abito del geometra, pur se in quel modo impiegava tempo prezioso per un lavoro superfluo, per nulla funzionale alla propria professione. Credo che il cambiamento sia un motore dell'innovazione e che una società statica (con l'ambizione e il miraggio del posto fisso, possibilmente nella stessa azienda) costituisca un freno. "Chi ha tutto non si muove". E' un'altra delle frasi che mi tornano spesso in mente e questa volta la riporto fedelmente, poiché era l'inizio della predica del mio parroco, credo nel 1991 o 1992, durante la messa dell'Epifania. A differenza di molte altre parole, rimaste al vento, quelle mi sono marchiate a fuoco. Non so perché. Forse affinché fossero riportate qui, vent'anni dopo.

Foto by Leonora

giovedì 9 settembre 2010

La prossima volta


Vacanze finite. Da due giorni ormai, con il lavoro che mi s'è arrampicato addosso lasciando poco tempo e zero tregua. Mi ero ripromesso di appuntare qua spunti e pensieri della trasferta in Sardegna, ma ho perso l'occasione di farlo al volo e ora è come se fosse già trascorsa una vita intera. Non sono tipo da scattare fotografie a ogni fruscìo di vento o sosta: rimango convinto che gli unici momenti che non passano mai siano quelli goduti fino in fondo. E' con questo spirito che ho affrontato la settimana e mezzo al mare, sei giorni a Stintino e quelli prima a Santa Teresa di Gallura. Bei posti, entrambi. Aggiungo la città di Alghero, dove sono stato una sera, a cena. Se ci penso ora vorrei tornare indietro, essere ancora là, anche se dopo cinque o sei giorni dalla partenza avrei voluto essere di nuovo a casa, perché mi annoia la routine e pur se sono pigro da mettere in imbarazzo un bradipo mi esaspera il far nulla con cui si deve riempire la giornata. Ho letto molto, ma questo lo spiegherò in un prossimo post. Ho corso, persino. Dal quarto d'ora del primo giorno ai quaranta minuti dell'ultimo: in mezzo un po' di tutto, dai dolori articolari alle apparizioni mistiche di angeli, santi e beati di un po' tutta l'isola. Mi sono sentito per la prima volta vecchio (fisicamente, intendo) e giovane (nella costanza, nello spirito). Ho perso due chili, mi sono abbronzato, sono tornato in forma, non mi sono connesso a Internet e non ho parlato con nessuno al telefono, tranne i parenti stretti. Lo zio Emilio, ottantasei anni, fratello di mia nonna e ultimo baluardo della vecchia famiglia, ha avuto un infarto proprio il giorno della partenza, lo hanno rimesso in sesto quando non c'ero ed è tornato a casa giusto quando sono arrivato io, così tutto il peso dell'assistenza se lo sono dovuti sobbarcare mia madre e Roberta e Fabrizio, cugini d'anagrafe e fratelli per me nella vita.

Non so perché ho scritto tutto questo, non credo possa interessare qualcuno, esclusa la stretta cerchia delle persone che abitano in casa mia (forse neanche a quelle, perché erano con me e conoscevano già tutto, compresa la mia pedanteria). Però dovevo pur ricominciare a scrivere qua e chiedo perdono se l'ho fatto dicendo nulla di memorabile. Sarà per la prossima volta.
Foto by Leonora