Venticinque aprile e tu non ci sei più, a ricordarmi che i gesti contano più delle parole, che la generosità è moneta che paga sempre, che una mano basta per proteggere i figli, perché con l'altra occorre spingerli.
Venticinque aprile è un vaso vuoto quando perdiamo il desiderio di valori condivisi, quando crediamo di essere migliori degli altri, quando saliamo sul piedistallo e tutti ci sembrano piccini.
Tu non avevi questa tentazione, nessuno ti ha innalzato mai, tanto meno lo hai fatto da te stesso, restando l'uomo a cui non pesava la fatica delle braccia, anche se compravi e leggevi tre giornali e sapevi distinguere i "poveri" da chi banalmente non ha soldi, dai disperati.
Non so perché mi sei venuto in mente, senza un motivo apparente, una ricorrrenza personale.
Forse succede perché se sbando sei la mia stella polare oppure perché attraverso ciò che provo io possano trovare consolazione pure gli altri, coloro che vivono in affanno, che hanno timore di perdere le persone care.
Le persone care non le perdiamo mai. Possiamo non vederle, ascoltare la loro voce, parlarci, ma vivono dentro noi, sempre.
Proprio come te, che ritrovo talvolta allo specchio, nei tratti del viso che cambia e finisce con l'assomigliarti, che nella mia testa parli senza usare la voce, quasi sempre senza chiedere il permesso, spesso facendo capolino con i tuoi motti, le frasi lapidarie.
Dentro me vivi sempre, anche se non ti cerco nelle fotografie, se piango mai o raramente, se non ti nomino di frequente. Tranne oggi, in questo venticinque aprile in cui dovremmo essere tutti uniti invece ci dividiamo e io, per sapere dove andare e come comportarmi, devo ricordarmi da dove sono arrivato, chi mi ha messo al mondo e insegnato a camminare.