Venti righe. Indro Montanelli sosteneva che in venti righe si può raccontare tutto. Bastano tre parole invece per spiegare le ragioni di questo blog: comunicare, in libertà. Per il resto, vale per me ciò che scrisse Jorge Luis Borges, "I miei limiti personali e la mia curiosità lasciano qui la loro testimonianza".
martedì 10 luglio 2018
Qua la zampa (Complimenti per la maturità)
“È andata bene”. Tre parole, due righe in cronaca, per farmi sapere che anche l’orale della maturità l’hai superato e che da oggi è festa, senza pensieri, uno stacco che hai meritato.
Per cinque anni ti ho vista studiare e impegnarti come io al liceo non ho mai fatto, a volte andare a letto tardi e alzarti prestissimo, ripetendo la lezione con i libri di fronte e il cellulare in mano (per cinque anni il cellulare è stato il tuo vero compagno, ammettiamolo).
Per cinque anni ti ho osservata sorridere, concentrarti, piangere persino, andare in crisi, ridere con le tue amiche del cuore, affezionarti a qualche insegnante, detestarne altri, mandare messaggi, riceverne (con quel modo buffo, ora, per ascoltare i messaggi vocali, con il telefono attaccato all’orecchio dalla parte in cui di solito io parlo).
Per cinque anni ti sono stato accanto pure senza esserti fisicamente vicino, sapendo che non avevi problemi di rendimento, più preoccupato che crescessi serena, poiché la scuola è molto ma non è tutto.
Preoccupato lo ero anche stamani, non per il risultato finale, bensì perché l’esame è una prova per i nervi più che per la mente e i nervi non sempre rispondono a comando.
Mi dicono che a parte un tremolio iniziale della voce e un lungo sospiro tra un capoverso della tesina e l’altro te la sia cavata egregiamente, tenendo la tensione nel recinto.
Sono orgoglioso di te, come dei tuoi fratelli, per come vi state comportando.
Voi siete il mio punto più debole, quello che istintivamente proteggo, come fanno i cani quando si sentono attaccati e si accucciano ritirando e nascondendo più che possono le zampe, rispondendo ad un richiamo atavico, che li porta a preservare ciò che hanno di più delicato e insieme prezioso.
P.S. Le zampe. Non l'addome, la coda, il muso. Le zampe sono ciò che tutti gli animali che ne sono provvisti istintivamente proteggono. Le zampe perché attraverso esse ci si può procurare il cibo, si può attaccare, soprattutto ci si può difendere nel modo più efficace in natura conosciuto: scappando. Non è un caso che, per i cani, porgere la zampa è un gesto di fiducia assoluta, di "amicizia". A volte, Giorgina, vorrei essere come loro, che senza parole sanno esprimere quanto provano. "Qua la zampa" allora. E complimenti di nuovo.
domenica 8 luglio 2018
Tu non avere paura (E mantieniti saldo)
Se si procede spediti gli ostacoli si avvertono meno. L'ho constatato stamattina, mentre correvo e tu con la bicicletta mi pedalavi accanto.
Il sentiero nel bosco era irto di pietre e man mano che procedevi rischiavi di perdere l'equilibrio. "L'equilibrio - ti ho detto - è più facile da trovare se si va veloci".
"Ci sono i sassi" hai replicato, eppure anche per i sassi vale lo stesso: andare svelti è un trucco per sentirli meno, per superarli di slancio. "Per farlo occorre innanzi tutto coraggio, non temere di incespicare, di ruzzolare a terra, importante è concentrarsi, mantenere la tensione nelle braccia, tenendo saldo il manubrio".
Mi hai ascoltato, anche se non ti ho affatto convinto. Un secondo dopo, lo sguardo serio serio, con i tuoi dieci anni asciutti asciutti e le gambe da merlo, hai stretto le manopole fino a farti diventare bianche le nocche e guardando dritto sei partito a razzo, pronto a dimostrare che paura non ne avevi e anche se l'avevi non volevi ammetterlo.
Per un chilometro e mezzo non hai proferito verbo, poi quando la campagna è finita e le ruote hanno toccato l'asfalto liscio ti sei illuminato e nonostante i venti metri che ci separavano ti ho sentito esclamare contento: "Oh, qui sì che è bello".
Già. Quando tutto fila liscio è bello, eppure non ce ne accorgeremmo senza affrontare e superare gli ostacoli che troviamo lungo il cammino. Grazie per avermelo ricordato.
giovedì 5 luglio 2018
Radici profonde e ali spiegate (Benvenuto K)
Sei arrivato tra noi, asciutto di fisico e con un carico di cui intuiamo la dimensione, non la portata piena, che certe storie sono scritte a fuoco sotto pelle e si apprendono con pazienza, nel tempo.
Ti abbiamo conosciuto quel tanto che basta per aprire la porta e lasciare entrare insieme a te pure un destino, che ci legherà a prescindere da ciò che accadrà in futuro, comprendendo che tu sei per noi soprattutto questo: un dono.
Hai radici prodonde, anche se per buona parte della vita ti sentirai uno sradicato. Una sensazione comprensibile, che tuttavia non dovrà farti da intralcio: la vita con te ha messo le cose in chiaro da subito, puoi rifiutarlo ripiegandoti su te stesso oppurte accettarlo e spiegare le ali, sfruttando la scia dei tuoi numerosi talenti e cercando pace, gioia, serenità nel buono che saprai trovare, guardando al bicchiere che è pieno sempre, almeno mezzo.
"Tu sei destinato a fare da ponte" ti ho detto l'altra domenica, mentre osservamo gente differente, che di uguale ha soltanto il colore del sangue e un cuore che batte, nel petto.
Tu sei destinato da fare da ponte e lo stai già facendo, poiché grazie a te abbiamo incontrato persone che non conoscevamo, creando relazioni e legami. Ecco perché sei per noi un dono, ecco perché dico grazie a chi ha permesso che i nostri cammini si incrociassero, sperando di essere per te trampolino di lancio e non palla al piede, che di pesi e zavorre è già pieno il mondo.
lunedì 2 luglio 2018
Il palombaro di ritorno (scriviamoci e incontriamoci di più)
Nell'attuale società liquida informazioni e relazioni sono fitte, eppure restano quasi sempre in superficie.
Ed io, che pur in questo mare navigo a mio agio, avverto sempre più spesso il desiderio di tornare ad essere il palombaro che ero da ragazzo: più solo, ma anche più capace di "nuotare profondo".
Che poi, ridotto in spiccioli, si potrebbe tradurre in qualche desiderio.
Vorrei tornare a scrivere delle lettere, ad esempio. Lettere, non messaggi, nessun epigramma, niente faccine che piangono o sorridono. Fogli di carta bianca, vergati a mano, possibilmente con penna a stilo. Al più, delle mail, indirizzate agli amici e alle persone che stimo.
Vorrei tornare soprattutto a "incontrarmi", quei momenti comuni di discussione, di confronto, di dialogo, che quando ero ragazzo non passavano due sere di fila senza che ce ne fosse uno. Politica, scuola, religione... Ogni spunto era buono. In quella fucina sono stato forgiato, ho imparato attraverso gli altri a formarmi una coscienza, che poi diventava patrimonio comune, condiviso. In quelle serate dicevo la mia, ascoltavo parecchio, cambiavo idea pure quando la mantenevo, nel senso che non era raro si rafforzasse, anche soltanto per doverla affinare con l'obiettivo di esporla o di puntellarla affinché assorbisse l'urto avversario.
Mi mancano quei momenti, lo ammetto. Credo che nell'attuale scorrere dei giorni, connessi in ogni istante come siamo, ciascuno con gli occhi puntati sul proprio telefonino, sia sempre più urgente la necessità di "riunirsi", di luoghi anche fisici di scambio.
Se è vero infatti che in un certo periodo storico ne abbiamo abusato (mi viene in mente il post Sessantotto e certe tendenze all'assemblearismo), oggi rischiamo l'esatto contrario, cioè l'assenza, l'autoreferenzialità, il vuoto, ciascuno che va avanti con il proprio paraocchi, vince chi urla di più e non importa se capisce di meno.
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