Foto by Leonora |
Nel mezzo ci sono tutte le attenzioni che metto per entrare in sintonia con Giacomo e Giorgia, insieme con tutti i ricordi di ciò che erano una volta mentre adesso sono diventate persone fatte e finite, con una precisa impronta, distinta dalla mia.
Non si ascolta soltanto con le orecchie perché di parole da loro riesci a cavarne poco o nulla e se chiedi direttamente ottieni tutta una serie di smorfie in scala graduata (l'indifferenza, l'insofferenza, la strafottenza...). Il segreto sta nel capovolgere la scena e nel simulare a mia volta indifferenza, disinteresse, quasi distanza, e poi armarsi della pazienza del pescatore di marlin, con salda in pugno la sua canna da pesca: si getta qualche esca, si accetta che per delle mezz'ore o addirittura giorni non abbocchi nulla e se ti va bene, quando ormai hai perso la speranza, li senti aprire bocca e formulare frasi compiute e dotate di senso oppure allusioni velate che vanno passate poi al crittografo per essere decifrate e interpretate alla bell'e meglio, come capita.
La maggior parte delle volte però, pur con tutti gli accorgimenti di prudenza, l'approccio diretto naufraga ed è lì che si impara ad ascoltare senza usare le orecchie.
Principalmente si osserva. Gli occhi, a saperli usare, ascoltano a meraviglia. Io mi scopro talvolta un novello ispettore Clouseau, mentre sbircio di sottecchi Giacomo o Giorgia. Ne studio i movimenti, le espressioni del viso, le smorfie, i comportamenti, cerco di capire se sono sereni oppure hanno una pena, se vivono spensierati come la loro età meriterebbe oppure se condividono una cruccio, una preoccupazione, una spina. Talvolta ci azzecco, altre distorco la realtà, minimizzandola o ingigantendola.
Il fatto è che non ci si accontenta di averli messi al mondo e di fargli sapere che potranno sempre contare sulla nostra presenza: vorremmo anche far loro da balia. A due, tre, anche dieci anni è tollerabile, dopo diventa stucchevole. Ecco perché ho scritto che non ero pronto per diventare un genitore di adolescenti. Ci allevano fin da piccoli all'idea che avremo figli, che gli daremo il biberon, cambieremo i pannolini, li accompagneremo alle partite di calcio e a scuola, ma omettono che da un certo punto in poi dovremo imparare ad ascoltarli senza usare le orecchie e lasciarli vivere, in parallelo ma indipendente dalla nostra, la loro vita.
P.S. Per fortuna c'è Giovanni, con i suoi dodici anni e i suoi riflessi lineari, che quando ci rimane male per una cosa piange, ma se gli tendi la mano è pronto a prendertela e si fa abbracciare, ti stringe anche lui e un minuto dopo ride, chiedendoti al massimo il fazzoletto per asciugarsi una lacrima e non c'è nulla da interpretare. Per ora.