Foto by Leonora |
E' strano come la morte a volte sia un sollievo, cento notti avevo pianto, quando ti eri ammalato, quando eri stato operato, quando eri in terapia, quando tornavi da una visita, quando ti osservavo di sottecchi per controllare quanto peso avevi perso, se mangiavi, se gli occhi attorno alle pupille erano ancora bianchi, se respiravi bene o in affanno. Le ultime lacrime per te sono scese in quei giorni e qualcuna mi riga il volto ancora adesso, senza preavviso, nei momenti più disparati, senza un legame apparente, per un'improvvisa nostalgia, specie quando sono solo e guido la macchina o leggo un libro che mi ricorda il legame speciale che avevamo. Però nessuna di quelle lacrime porta a galla l'angoscia che ha preceduto il tuo congedo, come se a spaventarmi di più fosse la salita per arrivare allo scollinamento e non il burrone d'ignoto in cui si precipita dopo.
Sei anni. La mamma non c'è giorno che non ti ricordi, mentre io sono più spiccio e correndo è raro che mi fermi a guardare indietro. Credo capiti lo stesso ai tuoi nipoti, pur se a volte mi inteneriscono per il ricordo lucido che hanno di te (ecco che ora mi sale un groppo alla gola e mi commuovo di nuovo, si vede che sto diventando vecchio), così come Laura e i tuoi amici di un tempo, nelle cui rughe e grinze rivedo le tue.
Sei anni e un giorno, questo, un sabato con il cielo grigio e una pace infinita tutto attorno, a perdita d'occhio, seduto nella casa che tu hai costruito e che è stata per te meta e fondamento. Ciao papà, sei ancora qui, nel sangue che mi scorre dentro, nei geni da cui provengo e più importante ancora negli infiniti momenti con te che tuttora mi accompagnano e mi aiutano a ricordarti, sorridendo.