Alcune parole mi piacciono più di altre. Battigia è una di queste. Ci penso, mentre la percorro a piedi, in lunghe passeggiate senza meta, se non quella di mettere un piede dopo l’altro nella sabbia, dove l’acqua del mare lambisce la spiaggia. Penso alla pazienza delle piante, che non si possono spostare di un metro e sono ancorate lì, in balìa delle condizioni atmosferiche, degli animali, dell’uomo, del tempo. Se cadono fulmini non cercano riparo, né scappano quando il fumo annuncia l’incendio, né si ritirano alla furia del vento. Prese una a una sono indifese, ma insieme conquistano terreno, poco a poco, e non cedono, neppure dove il salmastro corrode tutto. Aspettano e non vanno da nessuna parte, non si spostano. L’unica azione di movimento lo affidano al seme, che a volte, come per le palme da cocco, viaggia migliaia di chilometri prima di approdare a un lido, mentre un altro cresce vicino al fusto che l’ha generato e un giorno ne prenderà il posto, continuando la vita da cui è nato. Penso alla pazienza delle piante, una pazienza di cui non possono fare a meno, dovendo affidare al destino la sopravvivenza della specie e quella loro. E penso all’uomo, che come la natura può compiere imprese titaniche, d’un colpo, ma più spesso lo fa piano piano, un passo dopo l’altro, come me sulla spiaggia, o quando lavoro nell’orto, e vango e in principio quel fazzoletto di terra zeppo di sterpaglie mi pare sterminato, ma quando viene sera, le zolle umide lavorate dal rastrello formano un quadrato perfetto, ordinato, diviso in linee ben tracciate e pronto per essere seminato. Penso alla vita, che a volte mi sembra sfuggire di mano, senza un senso, e che forse, alla fine sarà come quell’orto, spoglio di tutto, ma - spero - finalmente ordinato e pronto a dare nuovamente frutto. Vorrei avere la pazienza delle piante, per arrivare senza vacillare, a quel giorno, senza sospettare di aver sbagliato tutto.
Foto by Leonora
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