lunedì 30 giugno 2008

E guardo il mondo da un oblò


Oggi ho asciugato una lacrima a Giorgia, che ha otto anni ed è mia figlia e mentre stavamo parlando del più e del meno mi ha sussurrato all'orecchio: "Non voglio diventare grande". Non so perché l'ha detto, certe cose le bambine non le spiegano e i padri imparano presto a non insistere, tanto è lo stesso. "Quando guardo le foto di quand'ero piccola, voglio rimanere così" ha solamente aggiunto. E io sono rimasto zitto, limitandomi a tenerla stretta tra le braccia. Poi, quando il magone l'è passato, ho risposto che diventare grandi non è poi così brutto, solo non bisogna essere impazienti di diventarlo presto, né timorosi che venga quel momento.
Il tempo ("Il ladro d'acqua" come lo chiamavano i greci, che ad acqua avevano le clessidre, come ho imparato da un bel libro di Ben Pastor) se lo si asseconda è meglio. E come avevo scritto in un precedente post (almeno così mi pare, anche se non ho voglia di andare a cercarlo) mi rassicura il fatto che veniamo da lontano e anche se non so dove andremo, certo non ci fermeremo qui e tutto scorre e passa e io un giorno non sarò più come è capitato a mio padre e al padre di mio padre prima di lui e capiterà ai miei figli e ai figli dei miei figli. Ma questo non l'ho detto a Giorgia, anche se per un momento l'ho immaginata con i capelli grigi, asciugare le lacrime di una nipotina che assomigliava dannatamente a lei e diceva le stesse cose che lei oggi ha confidato a me. Non l'ho detto perché i bambini insegnano che in certe occasioni le parole non servono, perché non si può spiegare a voce tutto ed è meglio restare abbracciati, in silenzio.

Foto by Leonora

lunedì 23 giugno 2008

Costruire ponti


Scrivo meno in questi giorni, ma non è una resa. E' mia ferma intenzione dedicare a questo blog e alla lettura di quelli altrui un po' di tempo, ogni giorno. Resto convinto delle risorse infinite che offrono le relazioni in rete. Oggi, ad esempio, leggendo un post di Andrea sulle cose che contano veramente nella vita, mi sono trovato d'accordo con lui ed è stata un'occasione per riflettere sulla mia stessa esistenza, forse troppo affannata in queste ultime settimane (affannata ma densa di soddisfazioni).
P.S. Poiché in fatto di lutti quest'anno la mia famiglia pare non voglia farsi mancare nulla, ieri è morta la zia Carla, sorella di mia nonna e che della nonna stessa, scomparsa trent'anni fa, ha fatto le veci. La zia Carla aveva un rapporto speciale con Gianni, fratello di mia mamma, che se ne prendeva cura, fino a che un male subdolo nel maggio dell'anno scorso se l'è portato via. La zia Carla ha cominciato a morire davvero quel giorno. Sta di fatto che lasciarla in casa da sola, negli ultimi tempi, era diventato un azzardo e giovedì, a malincuore, l'abbiamo accompagnata a Sala Comacina, in una casa di riposo. "Se ci fosse stato lo zio Gianni non sarebbe successo, non lo avrebbe permesso" ha detto mia madre, sulla strada del ritorno. Tre giorni dopo, ieri, come un fulmine a ciel sereno (poiché a noi che eravamo andati a trovarla tra venerdì e sabato era parsa in salute, in forma persino) la crisi, la vana corsa con l'ambulanza in ospedale e il decesso. Il funerale ci sarà domani, 24 giugno, giorno in cui lo zio Gianni se fosse ancora vivo avrebbe festeggiato il compleanno.

Foto by Leonora

sabato 14 giugno 2008

In attesa di risposta


Ho una domanda da affidare alla rete come messaggio in bottiglia sull onde dell'oceano. Il quesito è il seguente: se a me pare bello, curioso, interessante un post di un qualsiasi blog, posso pubblicarlo sul giornale per cui lavoro? E debbo chiederne il permesso all'autore oppure no? E dovrei pagarlo oppure basta citarne la fonte? C'è una prassi consolidata, una regola o delle regole stabilite oppure ognuno fa a modo suo?

Ogni chiarimento o suggerimento è ben accetto.

Foto by Leonora

mercoledì 11 giugno 2008

Face to Facebook


Non scrivo, ma mi adeguo. In questa estate torrida soltanto per i cambiamenti professionali del sottoscritto (per il resto, pioggia e nuvole imperversano, con un giugno in cui una mattina sì e l'altra pure noto in redazione qualcuno col maglioncino) mi ritrovo a scrutare il mondo esterno come fossi al di qua di un oblò. Ed è singolare il fatto che faccia un mestiere con l'obiettivo di raccontare agli altri cosa accade al di là dell'oblò: fatico a comprendere cosa stia accadendo nella scrivania di fronte alla mia, per tutto il resto, bene che vada, è miopia. Nessun problema, questione di modi e tempi da affinare, per cui attendo il momento in cui questa sindrome da play station passerà e tornerò ad avvertire il desiderio di altro che non sia la fattura di un giornale. Qualche segnale c'è già. Ieri sera e ieri l'altro sono tornato a leggere un libro ("Il campo del vasaio", Camilleri) e oggi ho chiamato un paio di amici al telefono. Prendo come spunto questo post per chiedere scusa a tutti coloro che mi conoscono e mi hanno visto immergere, attendendo che tornassi a galla pian piano. Lo sto facendo. Da questa settimana rispondo anche alle mail, non dimentico di replicare agli sms e ricordo persino di interessarmi dei fatti della vita importanti per le persone che amo. Sto tornando quasi normale, insomma, a patto di definire normalità la condizione in cui ho sempre vissuto.
Affido questo ampio preambolo alla gentilezza di chi legge (e mi conosce), approfittando per una breve digressione su Facebook, a cui sono iscritto ormai da parecchio tempo, senza tuttavia utilizzarlo, se non per guardare ogni tanto le foto delle persone che hanno voluto mandarmi un invito e inserirmi nella loro lista di amici.
Noto che ultimamente incrementano le iscrizioni di persone che conosco. E sono le più disparate, dai conoscenti di blog a parenti lontani a persone che non vedo da anni e ritrovo sorridenti in foto, nella copertina di questo social network. Lo scrivo per riferire della filosofia che mi vede aggregato e che consiste, più che nel concreto utilizzo, nel fatto di esserci, di aver messo una bandierina. Mi pare insomma di seminare, rimandando giorno per giorno il momento in cui sfrutterò questo strumento sul serio. Non vorrei però che alla fine, novello Giovanni Drogo, mi scoprissi stanco e vecchio, avendo trascorso la vita nell'attesa che quel momento arrivasse, senza far nulla perché capiti davvero. Giuro che appena prendo confidenza con questo benedetto lavoro e mi rimetto in pista sulle cose che contano con egual peso, entro a piè pari su Facebook e deciderò se val la pena di esserci oppure se più saggio congedarlo.
Foto by Leonora

giovedì 5 giugno 2008

Immersione totale


Riemergo ora, dopo quarantotto ore di apnea, in un immersione totale nel nuovo lavoro che mi ha tolto fiato e ridato il respiro. Nei primi due giorni ero al giornale prima delle dieci e sono tornato quando i miei figli dormivano già da un pezzo. Il problema è che mi fermerei ancora di più: quando si fa qualcosa che piace e appassiona il tempo vola e tutto è lieve. Credo di avere la sindrome dei ragazzi che giocano alla PlayStation e che non lascerebbero i giochi neppure per i pasti o le normali funzioni biologiche.
Scrivo questo post di buon ora (grazie al fantastico Eee Asus che i colleghi di Etv, con una generosità degna del cuore che hanno, mi hanno regalato al momento del congedo) e chiedo scusa agli amici se in questi giorni trascuro, insieme al blog, anche loro.
Prometto di trovare al più presto un equilibrio, in modo da conciliare con armonia le varie esigenze professionali, di relazione sociale e di formazione personale. Perché il lavoro è importante, ma la vita lo è di più.

Foto by Leonora