domenica 6 ottobre 2024

Spezzare le catene (Non vi possiedo)

“Spezzare le catene”. Di questi tempi mi vengono in mente frasi che paiono lapidi, apparentemente a caso, come se me le sussurrasse all’orecchio qualcuno, pur se a girarsi di scatto non scorgo nessuno.
“Spezzare le catene”. Un invito e insieme un piccolo mistero, non essendo così intuitivo il significato. “Catene” infatti attorno a me non ne vedo, non a un primo sguardo almeno. Pensandoci però forse ciò che mi “lega”, in un certo senso “imprigiona”, lo trovo.
Il laccio delle abitudini ad esempio.
Quello del comodo, della pigrizia che frena la ricerca del bello, del buono.
O lo spago del misurare tutto, lo schiavismo del bilancino, che inibisce il dispensare con generosità, non tanto e non solo il materiale, quanto nelle relazioni, innescando quel meccanismo del “do soltanto se ricevo”.
E il peggiore di tutti, il cappio della paura, il timore paralizzante del giudizio altrui, del fallimento. Dimenticando che, in realtà, fallisce soltanto chi non ci prova davvero.

P.S. Ti vedo, vi vedo, così parte di me e così diversi da me, così vicini e così estranei, indipendenti, autonomi, alberi che crescono portando frutto, personalità che si formano e sbocciano in modo originale, unico. Esiste un filo elastico che ci lega, ma al contempo così lasso e lungo da permettervi di camminare e giungere ovunque, senza sentire vincolo, senza catene, anche se anelli di catena siamo.
Con voi sperimento l’amore vero, quello del non trattenere, dell’essere lieto soltanto di ciò che rende lieti voi davvero, del restare sempre disponibili senza pretendere nulla in cambio o di ricambio.
In questo credo stia il senso più profondo di “dare la vita”, che non si riduce all’inizio, ai cromosomi e a quell’unica cellula dalla quale è iniziato tutto ma si rinnova ogni giorno, lasciando semi in continuazione, senza pretesa o certezza o sospetto che mettano radice, si riproducano.
E in questa storia che si riduce a una parentesi tonda di qualche decennio, in cui di me tra due generazioni non resterà nemmeno il ricordo, voi siete ciò che ho di più prezioso, proprio perché “siete” e non “vi possiedo”.

sabato 21 settembre 2024

Aprirsi alla meraviglia (La vena creativa)

“Aprirsi alla meraviglia”. Una frase che mi rimbalza in testa da qualche settimana, formatasi nella mente come un lampo, tanto che per giorni ho avuto la sensazione che non fosse mia, bensì l’avessi avuta in dono per farmi da bussola e nel contempo affidarla a chi, per intuito, potesse giovarne, facendola a sua volta propria.
“Aprirsi alla meraviglia” può voler dire mille cose, è soggettivo, ciascuno può interpretarlo come pare.
Per me significa non essere pigro e osservare con stupore tutto, non dando per scontato nulla, considerando ciò che accade non come semplice puntino, bensì come linea d’un disegno.
“Aprirsi alla meraviglia” per me è soprattutto creare una relazione pienamente umana con le persone che incontro, osservandole dritte negli occhi, non facendo scivolare lo sguardo su nessuno, godendo delle occasioni in cui per un passo mio o dell’altro il contatto è ricambiato e si innesca uno scambio che fa sentire anche soltanto per quell’istante speciale, unico.

P.S. Non essendo un genio e neppure un suo parente lontanissimo, ora che scrivo ogni giorno sul giornale (qui sul web) esaurisco rapido la vena creativa e mi ritrovo per questo “diario” d’una vita asciutto.
Poco male. Sarei più preoccupato se non cogliessi il confine del banale o mi ostinassi a replicare l’ovvio, lasciando traccia qui di una mammella vuota, convinto invece di scrivere pensieri imprescindibili da consegnare al mondo.
Faccio eccezione oggi, per ringraziare le persone che mi sono amiche, contentandosi d’una presenza intermittente, che somiglia a un ritaglio pure quando non lo è.
Anche se ho sempre la sensazione di procedere su un ciglio sottile, in precario equilibrio, pedalando veloce o spingendo sull’acceleratore del motorino, ma con la sensazione che basterebbe poco per farmi scivolare in un dirupo, ammetto che questi sono mesi sereni, di soddisfazione ampia, in cui il lavoro mi fa sentire realizzato. Soprattutto, a differenza di altre fasi del passato, non mi sento più “trasparente”, bensì considerato, consapevole che il mio impegno sia utile a una buona causa.
Non è poco.

sabato 31 agosto 2024

Il caso esiste (Facciamoci caso)

Caso e destino. Destino e caso.
Per definizione comune “il destino presuppone che un fatto sia legato ad altri fatti da una catena di eventi: è una visione deterministica del mondo. La coincidenza, al contrario, spesso implica che le cose accadano per caso, non quindi secondo una determinata catena di eventi”. Per quanto mi riguarda, invece, mi paiono la stessa cosa, soltanto guardata da un punto di vista diverso: prima e dopo.
La linea che li separa, nella vita, è meno netta di quando la si scrive nero su bianco. Dire che possiamo contribuire a creare la realtà, trasformare il caso in destino, ha un suo significato.
Pensiamo a quella che in psicologia si chiama “profezia che si auto avvera”, una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa. Non è scontato, però conta.
La differenza è sottile, la stessa che passa tra conoscere e intuire, tra il sapere e il sentire. Al caso non si comanda, semmai lo si orienta, lo si instrada, gli si prepara un solco dove sarà più facile che si incanali, sapendo che se lo si prende di petto, s’impunta, mentre se lo si ghermisce, lusinga, è più facile che si sdrai nel letto che abbiamo preparato per lui.

P.S. In questi mesi ho un espediente per scacciar le nubi quando l’orizzonte si fa cupo: faccio l’elenco di ciò che c’è di positivo.
Stendo così luce sull’ombra, consapevole che mai tutto è nero e sempre fa differenza la prospettiva, ciò che i nostri occhi scelgono di guardare, il pieno o il vuoto, il buono o il gramo, fuori dalla finestra o dentro un pozzo.
Credo valga in special modo quando si affronta un periodo difficile o si porta nel cuore una pena.
Non esistono bacchette magiche, né ricette miracolose o clausole di salvaguardia: sempre la tribolazione - per uscirne - va attraversata. Creare però degli appigli, compiere piccoli gesti di resistenza, può accorciare la strada.

sabato 24 agosto 2024

Chi ha tempo (Non aspetti tempo)

Scusate s’è tardi, ma si fa presto a dire: “Tempo”.
Quale tempo? Non il meteo e neppure il kairos, il momento opportuno, propizio. Proprio il tempo, il kronos, quello che scorre e che siamo abituati a considerare “uno”. Sbagliando.
Sì, perché non c’è soltanto il nostro, di tempo, quello che siamo abituati a conteggiare con le lancette dell’orologio o i minuti in evidenza sul telefono.
Il tempo al singolare non esiste, esistono i tempi.
C’è quello infinitesimale, per il quale persino il “secondo” è unità di misura a grana troppo spessa per coglierlo. Pensiamo alle cellule che si dividono, alle molecole che si abbinano, agli atomi che si aggregano e scindono… Sembra fermo, invece è tutto un movimento, anche adesso, mentre scrivo: le unghie, i capelli, i fili d’erba, le foglie d’albero, stanno crescendo o regredendo, modificandosi insomma.
Poi c’è quello enorme, degli astri, delle ere geologiche, dell’universo che si espande…Tredicimila e rotti miliardi di anni. Tredicimila. E rotti. Miliardi di anni. Miliardi.
Anche ad impegnarsi, una dimensione tanto estesa che la nostra mente non può cogliere.
In mezzo, tra il grande e il piccolo, ci siamo noi, abituati a pensarci al centro forse proprio perché ci troviamo “in mezzo”.
Sì, vabbè, e allora? Cosa vuoi dirci?
Nulla. Non ho lezioni da impartire, soltanto pensieri da condividere. Ciascuno può prenderli per intero o coglierne un pezzetto, aggiungendone dei propri o semplicemente mettendoli da parte, conservarli in un cassetto o masticandoli come si fa con il nocciolo dell’oliva, prima di sputarlo.

P.S. Le coincidenze. Anche ad esse facciamo poco caso, dando tutto o quasi per scontato, mentre la nostra vita non è che un continuo, incessante, verificarsi di sincronismi, simultaneità, concomitanze. La maggior parte non le governiamo, accadono da sé, qualcuna invece possiamo combinarla. Come decidere di trascorrere qualche ora di qualità con le persone che amiamo. O prendere il telefono e chiamare qualcuno che non sentiamo da un pezzo. O scrivergli. O cominciare un progetto a lungo rimandato. Buoni propositi di fine agosto, che non lasciano soltanto il tempo che trovano.

sabato 17 agosto 2024

L'anello ereditato (Cosa conta davvero)


Se li avessi qui, se me li trovassi faccia a faccia di nuovo, se per un istante potessi rincontrarli e guardarli negli occhi, proferendo verbo, direi loro che non abbiamo mancato di onorare il nocciolo di ciò che erano e hanno lasciato in eredità più dei soldi, più dei risparmi d’una vita grama e in salita, masticando per anni pane duro, tanto che quando è arrivata la tranquillità, il benessere, non sono riusciti a goderselo appieno.
Angelina, Carletto, l’altra Angelina, Emilio, Carla, Eudemia, e poi Irene, Mario, un altro Emilio e un’altra Carla, Gemma, Luigi, Assunta, Francesca, Pierino… Li ho conosciuti da bambino e frequentati parecchio, specialmente i primi, sangue del mio sangue, radice riconosciuta e rispettata d’una storia che chiamare famiglia è un tutt’uno.
Non ci sono più da un pezzo ormai, se non nei ricordi e nelle chiacchiere tra noi cugini o con chi ha fatto in tempo a conoscerli. Eppure resistono. Consapevolmente ancora un poco, finché ci sarà la mia generazione almeno, poi i loro contorni, i profili di volti e voci inevitabilmente svaniranno, mentre rimarrà inconsciamente quel nocciolo di lascito che in noi si è fuso e a nostra volta consegniamo: stare bene insieme; discutere anche animatamente senza però mai spezzare il filo; non litigare per i beni materiali; andare d’accordo; cercarsi con costanza; celebrare insieme le feste comandate; creare occasioni di incontro; esserci, quando si ha bisogno; sapere di contare sempre l’uno sull’altro.
Perché “famiglia” è sì ciò che si è, che è capitato, ma pure quello che si vuole, si sceglie di essere. Proprio come l’amore: un dono e insieme una decisione, un atto di volontà, istante per istante, giorno per giorno.

P.S. Vale per il mio lato di parentela e pure per quello ricevuto in dote, generazioni che si susseguono e intrecciano. Un anello che si rinnova e che ad agosto, da decenni ormai, trova modo di trascorrere insieme qualche giorno, con un piacere di “stare” senza obblighi o vincoli, che è la vera ricchezza inestimabile che abbiamo per retaggio e trasmettiamo a nostra volta, per contagio. 

giovedì 1 agosto 2024

Si sta come pietre (In equilibrio)

Scorrono i giorni come minuzzoli di vetro, di quelli che si trovano in spiaggia, lisci, opachi, levigati negli anni dal moto delle onde, fatti ruzzolare all'infinito l'un contro l'altro, belli ciascuno in sé e nessuno di valore alcuno, tranne che per l'attimo in cui si tengono tra le dita e si osservano, prima di gettarli ancora in mare, che tenerli via tutti non si può, non avrebbe senso, non ci sarebbe spazio.
Guardo a questo mio anno da qui, primo giorno d'un mese di mezzo, in cui per tradizione si prende vacanza, si stacca il piede dall'acceleratore o per lo meno si pigia un poco il freno.
Emergo anch'io con la testa, dopo un'immersione cominciata a gennaio, con il nuovo lavoro, il quale ha aderito a me perfettamente, quasi un esoscheletro. Sette mesi per certi versi turbolenti e ardui, come per ogni impresa al suo principio, riconoscendo che entusiasmo e incoscienza hanno supplito alla mancanza di esperienza, mentre desiderio di fare bene e buona volontà hanno posto rammendo alle inevitabili smagliature di chi si approccia a un mestiere nuovo e ha molto da imparare, pur se piazzato in alto (e proprio perché "in alto" avendo da imparare ancora di più).
La sensazione è però quella di un punto raggiunto, di una base posta, di qualcosa di buono che si è compiuto e che si schiude ora ad altre mete, altri obiettivi, non più in solitudine, ma finalmente in sintonia, in pieno affiatamento con le persone che ho la fortuna di avere accanto.
Di contro, a specchio, per quanto riguarda la vita, proprio questo momento esente dal bisogno, senza preoccupazioni eccessive o dolori o spine nel fianco, crea un tempo propizio per le domande eterne che accompagnano l'essere umano. "Si sta come sugli alberi le foglie" ha scritto Salvatore Quasimodo. Io mi sento più come quelle delle pietre messe in pila, una sopra l'altra, in equilibrio, stupende da vedersi eppure precarie, labili, che basta un nulla per spazzarle via, senza che lascino memoria del loro "esser state", un puntare verso l'alto ammirevole ma effimero. Pure io, come tutti - tutti coloro che hanno una certa sensibilità, almeno - non ho certezze, risposte di senso, ma fin che corro, come in bicicletta, resto in equilibrio, mentre appena mi fermo sperimento il vuoto, casco. Eppure nessuna caduta è continua. Per quanto possa far male, c'è sempre una fine, un fondo, la base per ripartire, ricominciare, rialzarsi di nuovo. 

P.S. Raramente do consigli di lettura, poiché i libri sono un vestito su misura, non esiste una taglia unica, che si adatta a ciascuno. Qui trascrivo titoli e autori di quelli che nelle ultime settimane ho letto io. "Il cacciatore di draghi" e "Lettere (1914-1919)" di J.R.R. Tolkien. "Il sesso è (quasi) tutto. Evoluzione, diversità e medicina di genere" di Antonella Viola". "Confessioni" di Lev Tolstoj. "Dodici racconti raminghi" di Gabriel Garcia Marquez. Sul comodino invece ho "Resurrezione", sempre di Tolstoj, e "La crisi del capitalismo democratico" di Martin Wolf.

domenica 30 giugno 2024

Ben tornata (Tirare una linea)

Chi ti conosce sa, chi non ti conosce - o è prevenuto - non capirebbe.
È successo tutto in un vortice, una pressione aumentata a dismisura negli ultimi due mesi, coronamento di un impegno lungo dieci anni, con un finale amaro per te che ci tenevi e per noi che ti vogliamo bene.
Comprendo dunque il tuo stato d'animo e i sentimenti contrastanti di questo scorcio di stagione, in cui puoi finalmente riprendere fiato, anche se tu sei sempre stata abituata a fare tre cose insieme e il vuoto, seppur provvisorio, non è un foglio bianco da scrivere ma una parentesi da accorciare ai minimi termini.
Tra le cattiverie che hai dovuto sopportare la più ridicola è che volevi proseguire "perché non hai altro da fare": di tutte le persone che conosco, e ne conosco molte, tu sei quella che non ho visto mai restare con le mani in mano, lavori da quando avevi sedici anni, hai mantenuto un impiego tirando grandi nel contempo tre figli più uno, ti sei caricata sulle spalle me, che ora comincio ad essere un filo autonomo ma fino a qualche anno fa rispecchiavo il "patriarcato" più obsoleto, lasciando a te incombenze su tutto.
Lascio queste parole qui, pro memoria per chi ci succede, rinnovando la stima per le qualità che hai, per le doti che hai dimostrato, soprattutto l'ammirazione per la mancanza di ambizione fine a se stessa.
Non so se saresti stata una buona sindaca, credo che l'autocritica e il riconoscimento dei propri limiti siano sempre necessari, così come non sono tra coloro che gridano alla tragedia in riferimento a chi ha unito sacro e profano, estrema sinistra e leghismo militante pur di raccogliere il vostro testimone. Essendo il nostro paese mi auguro sinceramente possano fare bene. Di certo attendo al varco chi per anni ha criticato anche sulle minime questioni, non rendendosi conto della differenza che passa tra il dire e il fare: ora constateranno quant'è difficile e speriamo siano perseveranti quanto te a non lasciarsi cadere le braccia e a ricercare il meglio, nonostante tutto.
Da parte mia ho accusato il colpo (in questo senso però lo accolgo con favore: una sana spuntatina all'orgoglio, ch'è una brutta bestia e se di tanto in tanto non gli si tarpano le ali "ne rovina più lui del petrolio"), egoisticamente però sono contento di averti più con noi, a casa, di sapere che potrai tornare a dare per la tua famiglia e anche per te stessa il cento per cento, convinto che cambierà il campo, ma il seme buon che sei continuerà a mettere germoglio.

P.S. Tirare una linea. Io cerco di non portare rancore per nessuno però una linea l'ho tirata, misurando e soppesando molte persone, benedicendo anche le peggiori (le peggiori, per come sono fatto, sono quelle che hanno sempre rifuggito un confronto schietto, palese, aperto, nel merito delle questioni) poiché comportandosi male mi costringono alla virtù della tolleranza, dell'indulgenza, del perdono. Non è facile, lo ammetto, tuttavia nemmeno impossibile, anche se qualche sassolino dalle scarpe sono proprio tentato di togliermelo e lo trattengo non per bontà personale, che non ho, bensì per non dare cattivo esempio alle persone a cui tengo di più e che meritano di sapere che a vincere sempre deve essere il sorriso.

domenica 9 giugno 2024

Mal educati (Più socialità, meno social)

“Papà, mentre leggevo mi tremavano le mani”.
Rabbia, sgomento, delusione, fanno quell’effetto lì. Se ne sono accorti anche i miei figli, incappando in uno dei post a più alto tasso di cattiveria di una campagna elettorale che finalmente s’è chiusa, insieme alle urne, ieri sera.
E se ne parlo adesso, in questo tempo sospeso in cui le urne delle Comunali sono sigillate e non si sa nulla, è perché se lo avessi fatto prima sarebbe stato letto come favorire qualcuno, mentre dopo potrebbe suonare come rancore da sconfitta o supponenza da chi l’ha spuntata.
A me invece del voto importa relativamente.
Ho appoggiato Isabella con convinzione, perché so quanto vale, dopo aver capito che le mie insistenze affinché lasciasse perdere restavano inascoltate, cercando di stare comunque fuori dalla mischia, senza tifo da stadio, considerato l’alto livello di virulenza.
Se scrivo questo post è proprio per cavarne una lezione sull'utilizzo dei social, per mettere in guardia su quanto siano pericolosi, se non ci si educa ad usarli, se lo si fa in maniera superficiale o maldestra.
E non mi riferisco ai ragazzi, bensì agli adulti, a quelli della mia età, perché siamo proprio noi i più esposti al pericolo, cresciuti in un'altra epoca e incapaci ora di utilizzare certi strumenti con piena coscienza.
Ogni volta che vediamo qualcosa su Facebook, prima di mettere un like o commentare, dovremmo leggere con attenzione e pensare: questo frase la direi guardando l'interessato o l'interessata negli occhi, se l'avessi qui davanti, di persona?

P.S. Sui post specifici non aggiungo nulla, si commentano da soli. A lasciarmi mortificato sono stati i commenti d’appoggio e i “like”, messi da persone che considero amici e amiche, che ho sempre stimato o a cui Isabella sono certo non abbia fatto nulla. Non pubblico qui l'elenco, perché voglio evitare l'effetto "lista di proscrizione", ma a loro, in privato, lo farò sapere.
I miei figli e chi mi conosce bene infatti sanno che non sono buono di natura, che sono nervoso, anzi, e collerico, talvolta. Però sanno anche che uno dei principi che da quasi cinquantotto anni mi fanno da bussola e che spero di non perdere mai, è il non avere nemici e salutare sempre con il sorriso, e parlare con tutti, senza mai portare rancore con nessuno, né dover abbassare gli occhi per astio o vergogna. L'unico modo per riuscirci, per andare oltre, è non tenersi dentro nulla, dire le cose schiettamente, in maniera personale, diretta. Perché perdono esiste soltanto quando c'è giustizia, altrimenti è soltanto ignavia. O indifferenza.

martedì 4 giugno 2024

Trent'anni (Un dono)

Di quel giorno ricordo che è stato il più bello e che andò tutto benissimo, senza un dettaglio fuori posto, come accade soltanto per grazia ricevuta, mai per volontà, bravura o progetto.
E se trent’anni dopo siamo ancora qui, a condividere non soltanto un anniversario, bensì un pezzetto di noi, ogni giorno, lo dobbiamo alla Provvidenza (o al destino) e lo considero un dono.
Che se mi guardo indietro e ripenso a quanti errori commessi, a come siamo cambiati, alle reciproche rigidità, differenze, gusti, distanze, mi pare un miracolo non aver inforcato un paletto ed essere ruzzolati fuori pista, in quello slalom gigante senza binari obbligati che è la vita di coppia al nostro tempo.
Di certo, tra i due, il più fortunato sono io, per mille e una ragione che non starò a elencare, ma che tra me e me, in ogni esame di coscienza, riconosco.
Il frutto più dolce di quel giorno lontano sono i nostri figli e i rami d’amicizia che con tante persone abbiamo mantenuto o formato di nuovo, ma il complimento più bello l’ho ricevuto da te, ieri sera, a distanza di chilometri (perché neanche allo scoccare del nostro anniversario c'ero), al telefono, sentendoti dire senza enfasi, con leggerezza: “Lo rifarei, di nuovo”.

P.S. Giacomo, Giorgia, Giovanni e Kadir ci hanno fatto un regalo speciale, che mi ha commosso. E nulla turba la felicità piena, totale, di questo giorno, neppure le turbolenze dovute agli ultimi giorni prima del voto. C’è però un pensiero fisso, costante, che mi accompagna e rimanda a una persona che non c’è più e mi ha insegnato senza troppe parole il senso del restare insieme, nonostante tutto. Non c’è giorno in cui non mi venga in mente, sentendo quasi una colpa, perché noi siamo qui e lui no, a godersi moglie, figli, gioie della vita, sconfitte della nostra squadra del cuore uno accanto all’altro, lui sulla sedia io sul divano, e giorni nella baita in cui se chiudo gli occhi lo “vedo”, tuttora, mentre sorride e guarda il golfo di Piona, sul lago. Forse tra altri trent'anni saranno passati il dolore, lo sgomento, la fede, la rabbia, e resterà di certi congedi anticipati soltanto la dolcezza del ricordo. Nel frattempo unisco a treccia sentimenti contrapposti, consapevole di dover essere grato per ciò che in dono ho ricevuto.

sabato 4 maggio 2024

Prometto (Dietro ogni donna...)

Prometto che ti sosterrò, anche se sono stato la persona che più ti ha messo i bastoni tra le ruote, colui che ha tramato e brigato, alla luce e nell’ombra, affinché ti tirassi indietro, ti dedicassi ad altro, scegliessi pace, tempo libero, vacanza.
Prometto che ti sosterrò, perché tu sei fatta così: la persona più fragile e insieme più forte che conosca. E anche stavolta hai dato a tutti noi, cominciando dai nostri figli, una lezione del coraggio che a me manca, mettendoti in gioco, accentando il rischio, affrontando una sfida.
Prometto che ti sosterrò, perché hai molti difetti - come tutti - ma sei certo generosa e trasparente, limpida e tutta alla luce del sole, mai voltafaccia o doppia.
Prometto che ti sosterrò perché grazie a te esercito ogni giorno (con fatica) le virtù della pazienza e della tolleranza, resistendo alla tentazione di parlare o pensare male di chi ha fatto altre scelte, ricordando che chi si impegna al giorno d’oggi merita sempre e comunque riconoscenza.
Prometto che ti sosterrò, e se non faccio pubblicità smaccata, con tanto di frasi ad effetto e foto di famiglia felice, è perché noi non siamo una famiglia felice, da copertina, come credo non lo sia nessuna. Ma essendo da trent’anni esatti una famiglia viviamo moltissimi momenti felici e in quelli ardui, impervi, ci sosteniamo a vicenda.

P.S. Prometto che ti sosterrò, perché tu lo hai sempre fatto con me. E perché dietro una donna in gamba... c’è sempre un uomo di cui quella donna si è presa cura.

venerdì 19 aprile 2024

La bellezza della Miseria (L'aver vissuto non passa mai)

Io non so come sia il sole nel Laos. L'altra mattina però splendeva alto a Torre Boldone, in un cielo terso che pareva un drappo teso e tinto di fresco d'un azzurro intenso, con una brezza lieve che rendeva tutto perfetto.
La signora Banchit, mamma del mio amico Paolo, per il suo funerale immagino non avrebbe potuto desiderare di meglio. Almeno qui, in quella Bergamo diventata gioco forza la sua casa, mentre certo avrebbe apprezzato qualsiasi clima nel Laos, terra in cui è nata e che ha dovuto abbandonare troppo presto: a metà degli anni Settanta, complice una rivoluzione cruenta e le coincidenze che ricama il destino o la Provvidenza, per chi nei colpi di spatola della vita scorge un disegno.
Della cerimonia, composta ed essenziale come dovrebbero esserlo tutte quelle di congedo, non dico nulla, mentre tre dettagli ho impressi, marchiati a fuoco.
Il primo è il ciglio asciutto dei tre nipoti a funerale concluso. Un poco Anna, la più piccola, riusciva a stento a trattenere il magone, mentre Marco ed Elisa parevano già adulti, stretti nella morsa di un dolore muto, nudo, di quelli che bruciano più a fondo, ma rendono uomini e donne, onorando così nel migliore dei modi il tributo di vita di chi li ha preceduti, il ramo da cui hanno preso germoglio.
Il secondo è stata la voce strozzata di Paolo, che per una volta è stato in pubblico come io lo conosco in privato, cioè una delle persone più sensibili e profonde che conosca, d'una tenerezza direttamente proporzionale all'esser spiccio, a tratti persino cinico, nelle situazioni in cui non c'è possibilità di alternativa o via di mezzo.
Il terzo è stato il prete, missionario, che con Banchit e suo marito Mauro ha incrociato i passi e messo a dimora un'amicizia, nel Laos. Sua è stata la frase appena sussurrata ma talmente potente da risuonare come un colpo di gong, un tamburo: "Il vivere passa, l'aver vissuto non passa mai". È proprio vero.
 
P.S. Di sua mamma Paolo ha ricordato soprattutto la capacità di ascolto, di silenzio, citando una sola frase, che non ricordo esattamente, ma che riguardava i colori e i profumi della miseria. "Soltanto oggi, poco fa - ha detto, come tra parentesi, Paolo - ho scoperto che 'miseria' è il nome di una pianta". Non lo sapevo neppure io. La "Tradescantia fluminensis" detta anche "Erba miseria", originaria delle foreste pluviali, dove prevale l'umido e passa poco sole, abbastanza però da far sbocciare fiori piccoli e delicati. Proprio come Banchit e le persone che insegnano come la vera grandezza sia chiusa a guscio nell'umiltà. E che non servono troppe parole, per volersi bene conta l'esempio.

sabato 30 marzo 2024

Il giorno più bello (Prima dell'inciampo)

“Eravamo felici e non lo sapevamo” è una frase che mi suona spesso nella testa, specie in giorni in cui come i vecchi orologi  meccanici avrei bisogno per me stesso di ricarica.
L’esercizio della nostalgia, pur seducente e talvolta lenitivo, ha tuttavia la controindicazione di essere fine a se stesso: porta con sé qualche emozione, mai un cambio di pagina.
Per questo provo a spostare al tempo presente e in positivo quel pro memoria, declinandolo al qui ed ora: “Sono felice e lo so”.
Non capita sempre, di essere felici.
La felicità è puntiforme, mai continua, va a momenti, sfugge a qualsiasi gabbia e laccio con il quale trattenerla. In più, ha la stessa natura dei sogni, che puoi ricordarli vagamente o nel dettaglio, ma non è mai la stessa cosa, non si archivia: una volta che l’attimo trascorre si sbiadisce, evapora.
Io ad esempio ho traccia del giorno in cui sono stato più felice, ad occhio e croce, nell’ultima dozzina d’anni.
È stato il 24 febbraio scorso, un sabato (il sabato capita spesso sia tra i giorni felici, tranne che per chi fa il commessa o la commessa).
Per un combinato disposto di eventi su lunga e corta scala - un lavoro soddisfacente e stimolante, la sostanziale salute fisica mia e delle persone a cui tengo di più, il raggiungimento di obiettivi importanti per i figli, la vicinanza degli amici… - mi sono ritrovato la sera non potendo far altro che ringraziare per ciò che ho, non avendo null'altro da chiedere.
Ricordo nitidamente quell’istante.
Per due motivi: la sensazione bellissima di essere in cima a una montagna e insieme la certezza che da quel momento esatto in poi non poteva che esserci peggioramento, discesa. 
La felicità è così, l’esatto contrario della sventura: la seconda è orrenda, ma contiene in grembo un seme; la prima stupenda però porta in dote un tarlo.
Ed è così che si accompagnano, sempre, in eterno equilibrio, come morte e vita.

P.S. Per giorni ho taciuto persino a me stesso che quel giorno di pienezza poteva essere il perno di una svolta, l’apice a cui segue il declino, ripido o dolce che sia.
Anche gli adulti infatti, al pari dei bimbi piccoli, a volte chiudono gli occhi confidando che così nessuno li veda.
Qualche scricchiolio l’ho avvertito subito, ma poca roba, tanto da illudermi che mi sbagliavo, che forse potevo farla franca.
Mercoledì 28, sempre di febbraio, invece, a tarda sera, è giunta la certificazione di un balzo all’ingiù, in tutti i sensi. Per mia mamma, che ruzzolando sulla scala della cantina - la foto che ho messo e che ho scattato qualche giorno dopo, casualmente, a Brescia, rende bene l'idea - s’è rotta entrambi i talloni. E per me, che ho subito compreso come da lì in poi sarebbe stata dura.
Lo racconto ora, senza pesantezza, poiché il peggio è alle spalle e di quell’inciampo potrei elencare anche qualche seme positivo che ne è derivato. Ma questa è un’altra storia.

sabato 24 febbraio 2024

Ad alta voce (Elogio d'un puro)

Di nome fa Nicola ed è un puro.
Se ne scrivo qui è per mandargli idealmente un abbraccio, visto che ieri è andato in pensione e l’ho sempre stimato tantissimo, non tanto come cronista, che di colleghi bravi ce ne sono un sacco, bensì come persona, come essere umano.
Chi è poco attento alle vicende extra redazione Nicola Panzeri lo conoscerà a malapena o niente affatto: esordio professionale nella sua Brianza alta, se non ricordo male al Giornale di Merate, poi una vita a La Provincia, con una parentesi a Il Cittadino di Monza, dove l’ho conosciuto.
Un omone alto e grosso, anche di voce, tanto che convivere con lui non è stato facile per chi aveva la scrivania a un passo.
Anche perché, a differenza della maggior parte di noi, che utilizziamo (e spesso abusiamo) di messaggi o mail, lui è rimasto fedele al telefono, alla comunicazione diretta, alla relazione fatta di botta e risposta, spiegandosi a tono, anche se nel suo caso con qualche decibel di troppo.
Un dettaglio marginale, tuttavia, rispetto al motivo per cui ai miei occhi si è sempre distinto: il suo candore di fondo, una bontà d’animo scevra da ogni smanceria o pelosità, e che riassumo in un dettaglio che di lui dice tutto: non l’ho mai sentito parlar male di nessuno. Di nessuno. Mai. Neanche un accenno, un allusione, un pettegolezzo. Al massimo un sopracciglio alzato o un’espressione attonita, di stupore o perplessità, a cui però non aggiungere verbo. E anche quando esprimeva una riserva o un dubbio, era sempre contestualizzato a un fatto, mai alla persona in sé.
Ecco perché Nicola Panzeri mancherà, in un piccolo mondo qual è il nostro. Perché i grandi giornalisti possono scrivere articoli bellissimi, ma sono le persone serie, leali, a fare da colonna a un tempio qual è quello dell’informazione, sempre più a rischio d'esser profanato.

P.S. C’è un secondo aspetto per il quale Nicola ha da insegnare a chiunque, quello della fedeltà nell’amicizia. Se penso a lui non posso infatti prescindere da Ernesto, Ernesto Galigani, che di carattere è assai differente da Nicola, ma che con Nicola s’è sempre completato, esattamente come capita a me con gli amici a cui più tengo. 

sabato 10 febbraio 2024

Ma quali palle (Il grande inganno)

Io non lo so, figlia mia, se tutto il gran parlare di "patriarcato" contribuirà a raddrizzare qualcuna delle molte storture che tuttora resistono oppure se il tifo da stadio che si scatena su tutto - o di là o di qua, o con me o contro di me, bianco o nero - immergerà in una melassa di qualunquismo e di banalità ogni ragionevolezza e buon senso. Così come ignoro il giusto o lo sbagliato su molte questioni.
Quasi tutte, a dire il vero.
Se c'è una cosa che però mi risulta chiara è quanto truffaldino sia indicare ad un attributo maschile - "le palle" - qualità che noto spessissimo declinate al femminile: il coraggio, la schiettezza, la perseveranza, la forza, il puntiglio, l'audacia. E se fino a qualche tempo fa pure io, a mo' di complimento, dicevo: "Ha le palle", ora mi mordo la lingua, vergognandomi persino.
Perché le molte donne al comando che stimo, e anche quelle con ruoli di minore visibilità, ma di eguale responsabilità e servizio, non sono quelle emerse scimiottando irruenza o cinismo, bensì aggiungendo alla determinazione sensibilità, stile, spessore umano, garbo.

P.S. È stato un mese, quello appena archiviato, immerso in un'esperienza totalizzante, trascorsa con le ali ai piedi e un cuore a gonfie vele, impegnato come non mai e al tempo stesso mai stanco. Non aggiungo altro, per adesso. Se non un "grazie", perché davvero sono un uomo fortunato. 

lunedì 8 gennaio 2024

Un terno all'otto (Il giorno non qualunque)

Me ne sono ricordato all'ultimo, al termine di una telefonata in coda alla serata, quando il campanile di sant'Agata batteva le undici e già stavo per salutare spiccio mia mamma, curioso di vedere l'ultima bozza della prima pagina.
"Hai cominciato nel giorno del papà" mi ha detto, incrinando d'un tratto la voce, come chi d'improvviso si rattrista.
Il giorno del papà. Lo avevo completamente scordato, non soltanto oggi, che pur ho qualche giustificazione, essendo entrato in un frullatore d'informazioni, nomi, volti, ma altresì in ciascun iniziato degli ultimi due mesi, da che ho saputo che a Brescia avrei iniziato il nuovo lavoro proprio l'8 di gennaio.
Quindici anni fa, una notte di queste fu un'alba d'agonia. Se ne andava colui che più ha inciso nella mia vita, generandomi non soltanto biologicamente e donandomi quella libertà - di essere chi sono, di non adeguarmi a un modello costituito - che considero il vero privilegio tuttora.
Così sono i casi della vita, le coincidenze che sorprendono, dimostrando che la realtà è sempre più creativa della fantasia (perciò aveva ragione Buzzati, che sulla sua macchina per scrivere aveva appiccicato un bigliettino con scritto: "Racconta, non fare il furbo").

P.S. È stato un giorno denso e lieve insieme, una sensazione d'immersione, a metà tra il mare agitato e Gardaland. Qualche breve dettaglio in cronaca: sono arrivato in treno (ecologicamente corretto), ho sorriso molto e cercato di fare un'impressione buona (speriamo), ho voluto esserci all'apertura e restare fino alla chiusura (una sorta di rito di ringraziamento, di iniziazione auto imposta), mangiato da McDonald's (scorrettissimo, eticamente e dieteticamente), chiamato eccezionalmente mia mamma al telefono per rassicurarla che tutto è andato bene (ed è lì che è uscita la vera notizia, anche se poi la data dell'8 ha confuso entrambi, poiché quella esatta sarebbe stata il 10 di gennaio. Però, come pare abbia risposto a un collega scettico l'allora direttore di Repubblica, Ezio Mauro, riguardo una notizia riportata dal suo giornale in prima: "È talmente bella, vuoi anche che sia vera?")


 

domenica 7 gennaio 2024

Lo scarto (Granelli d'opportunità)

“Il viaggio d’una vita non corrisponde a un piano carriera”.
L’ho letto in un libro e lo riporto qui, sentendolo corretto, giusto, vero, in un tempo in cui pretendiamo che tutto - per primi noi stessi - funzioni perfetto, senza incepparsi, un tentennamento, un giro a vuoto, un guasto.
Una perfezione a immagine e somiglianza dell’unico mondo che sappiamo creare e che non ci siamo trovati, un mondo di “macchine” o, per parlar del contemporaneo, di programmi di computer, di algoritmi, catene infinite di simboli numerici che basta un punto o una virgola fuori posto per bloccare tutto.
Nella vita reale accade il contrario: è sempre l’errore, la stortura, il granello nell’ingranaggio che permette un salto in avanti o in alto. Guarda caso chiamiamo con lo stesso nome, “scarto”, sia ciò che ha poco valore e si butta, si elimina, e uno spostamento laterale, brusco, improvviso.
L’errore, lo sbaglio, la debolezza, l’assurdità, la svista, il malinteso, non sono vergogne o sentenze che inchiodano alla croce, bensì limiti da accogliere e possibilmente trasformare, in opportunità.
Un buon motivo per essere esigenti, ma non severi, nei confronti di noi stessi e degli altri.

P.S. Il professor Lombardi Vallauri, all’università, prendeva spunto dall’inglese e insisteva parecchio sul valore del verbo “realizzare”, cioè comprendere pienamente, rendersi esattamente conto.
Momenti così ne abbiamo tutti, il più recente per me è stato scoprire che da che l’essere umano può definirsi tale sono passate ventimila generazioni.
In pratica, ventimila anelli di catena, ventimila padri e nonni uno in fila all’altro, di cui soltanto gli ultimi cinquecento cacciatori o agricoltori, il resto ancora impegnato a restare sugli alberi, a destreggiarsi tra rami e foglie in qualche foresta pluviale a decine di migliaia di chilometri da dove abito adesso.
E io, che domani da qui partirò, alla volta di un'altra città, di una nuova sfida lavorativa, mi sento piccolo piccolo, ma pure sollevato, che per quanto possa essere inadeguato o sbagliare, non ne risentirà l'umanità e men che meno il pianeta.