Foto by Leonora |
Ci sono un sacco di cose di me che esistono soltanto in quanto mie, proprio come certi lumini che svanirebbero alla luce del sole o quegli organismi che al contatto con l'aria troverebbero morte invece che vita. Parlo anche di aspetti belli, nobili, non soltanto delle debolezze, delle bassezze, dei limiti che si accompagnano a qualsiasi natura umana e in ragione dei quali comprendo gli errori altrui, sapendo che in ciascuno di noi c'è ombra.
Ho già spiegato una volta che la sincerità in questo blog equivale all'assenza di bugie, ma l'assenza di bugie non combacia con la verità. Non sempre almeno, non su tutto.
Qualcosa ad esempio vorrei tenerlo per quando non ci sarò più, per quando si potranno leggere i pensieri senza dietrologia, spogliati dal pudore dei vivi o dal sospetto dell'ambizione, della presunzione, dell'ipocrisia. La morte infatti è anche questo, uno scanner che passa al setaccio le azioni e le fotografa senza più possibilità di mutamento, che poi è anche il limite della perfezione: non conosce movimento, è statica. Forse in questo senso la sua assenza è un dono per l'essere umano, mentre Dio (e dai che oggi ritorna) è unico proprio in quanto perfezione che si rinnova, che si moltiplica.
Quante parole. Ho tessuto volentieri il filo dei pensieri, anche a rischio che qualcuno commenti di non capirci nulla. L'ho fatto perché soltanto dando loro forma le intuizioni diventano chiare, perdendo forse un poco di originalità ma guadagnando in consistenza.
In verità avevo cominciato questo post per parlare di Alice ("Alice guarda i gatti" volevo intitolarlo), una persona che ho cara, una tra le ragazze più belle che conosca ma nel contempo uno dei ragazzi, al maschile (non come sessualità, come testa), più interessanti che ci sia.
La conosco da quando era una ragazzina alta alta e giocava a basket, perdendola poi di vista, ritrovandola grazie ai social network e apprezzando il suo esser caustica, ironica, sarcastica, passionale, pungente e candida, innocente insieme. Ci scambiamo non più di un paio di messaggi all'anno, non la vedo quasi mai, tranne ai battesimi e a qualche per fortuna raro funerale, scambiando a voce tre frasi in croce. Eppure lei dimostra che la frequentazione non è essenziale né alla conoscenza né alla stima reciproca. Amici ci potremmo definire, se dell'amicizia non mancasse quell'esserci a prescindere dalla presenza fisica, che significa essere un punto di riferimento, una spalla su cui piangere, un braccio a cui aggrapparsi, sguardi che si incrociano nella scintilla di una risata. A renderla speciale è che riesce a piacermi senza tuttavia la spinta dell'attrazione istintiva che sovente esiste tra maschio e femmina. Se mettessi in fila le cose che potrebbero far da frizione tra me e lei ne uscirebbe una pigna, eppure non ce n'è una che faccia da spina, che suoni stonata, rompendo l'armonia. Anche su di lei non posso né voglio scrivere tutto ciò che penso, ma ciò che ci unisce sento che è di un candore, di una tale pulizia da odorare di bucato e da permettere che una relazione privata diventi pubblica. Dovrei aggiungere che non vorrei averla messa in imbarazzo con questo post, ma so che come tutti i provocatori per timidezza lei non si offenderà se l'ho messa in mezzo e apprezzerà la genuinità di tutta questa confidenza.