Foto by Leonora |
In questi giorni è nelle sale "Lo Hobbit" e con Pietro, il figlio di Angelo, ho rispolverato miti e leggende del Silmarillion. Il filo conduttore di Tolkien mi pare proprio questo: non esiste regno né giusto che possa aspirare a rimanerlo a lungo, per sempre men che meno. Tutto si corrompe, tutto si corrode e più delle grandi imprese servono i piccoli gesti, le buone azioni nel quotidiano. Vale per gli stati, per le civiltà, le generazioni, gli individui, gli eroi. Vale anche per noi, che corriamo tutto il giorno come per acciuffare la coda di volpe che ci viene fatta ballare sotto il naso e quando finalmente l'afferriamo comprendiamo che la giostra non si ferma, che il momento della soddisfazione è un attimo, che ricominciare da capo è il nostro destino.
Non è un pensiero negativo: basta accettarlo. Che il senso sia nello scorrere lo intuivano gli antichi greci, così come il Buddha e la maggior parte delle religioni che conosciamo. Ciò che mi preme non è la teoria, bensì come posso metterla in pratica io. A tutto questo pensavo oggi pomeriggio, appena tornato dalla zia Silvana a Milano e dopo aver accompagnato Giorgia a pattinare. Rimesso piede oltre il cancello la prima cosa che ho fatto è stata armarmi di scopa e andare a disperdere nell'erba gli enormi cumoli di terra lasciati dalle talpe nel prato. Non è la lotta tra il bene e il male ma ci assomiglia, almeno nel puntiglio con cui loro scavano e io rimetto a posto. Prima adottavo metodi più drastici, ora sono sceso a patti con madre natura, convincendomi che al mondo ci sia posto per entrambi, per me e per loro, per quei trapanatori senza ritegno che pure hanno un musino dolce dolce e ci si spezza il cuore quando si prova a eliminarlo. Così le lascio fare, sperando che magari sia utile anche per lo stesso prato (magari così le radici respirano) e provando compassione per loro, che dopotutto ci assomigliano: anche noi infatti, pur armati di vista e di occhiali e di tutta la nostra sapienza, in fatto di senso della vita non sappiamo scorgere più in là del nostro naso.
P.S. Ieri, all'improvviso, se n'è andata una delle persone dal volto più buono che io abbia mai incontrato. Si chiamava Marino ed era il papà del mio amico Davide. Aveva appena sessantacinque anni e dei nipotini da tirare grandi, come desidera ogni nonno. Anche di fronte a loro, a Davide, vorrei avere vista di falco, per poter dare un senso, una spiegazione al dolore più profondo. Invece resto sempre un talpa e non posso fare niente altro che stringermi a loro, in un abbraccio...