Venirti a trovare non è stata una mia idea, pigro come sono e riottoso a mettermi in moto, preferendo viaggiare con la mente, come spesso mi capita, tuttora, nonostante gli anni.
A insistere è stata piuttosto tua madre, con l'ostinazione e la tenacia che la distingue, premiata da quell'abbraccio nel ritrovarti che mi ha fatto sentire grande e al tempo stesso piccolo, rispetto al bene che lei ti vuole (e qui ci sarebbe da aprire una parentesi, che infatti apro, sul nodo che lega due creature che hanno condiviso uno stesso grembo, un sentimento che in natura, per intensità e frequenza di vibrazioni, non ha pari, schianta qualsiasi paragone con il resto).
Ho archiviato tutto ciò nel seminterrato dei ricordi, assaporandolo di tanto in tanto, consapevole che ogni giorno qualcosa si perde, ma alla fine, per decantazione, resterà il meglio, il nocciolo delle emozioni, cioè il piacere di averle provate.
Se ne scrivo qui è proprio per lasciare un segnaposto, un pro memoria per i giorni a venire, abbinato all'orgoglio di aver visto lì una parte dell'Italia migliore, i tuoi amici di Caserta e di Salerno e di Bari, che in quel paese dove per gran parte dei giorni piove e tira vento si guadagnano un poco più del pane e lo fanno senza fanfare né medaglie, impegnandosi, in silenzio.
P.S. Mi hanno insegnato che "chi si loda si imbroda" e che "ogni scarrafone è bell' 'a mamma soja", perciò non mi sfiora neppure il pensiero di caricarti sulle spalle elogi fuori luogo.
A differenza di chi parte per necessità tu lo hai fatto per scelta, con la rete del trapezista ben spiegata sotto. Non è un dettaglio trascurabile, accessorio.
Però misurare la distanza che ogni mattina alle sei e mezza fai in bicicletta per recarti al lavoro; immaginare il maltempo che quasi sempre c'è lì e quanto arrivi zuppo, prima ancora di cominciare il turno; notare i calli, le fiacche, le cicatrici sul palmo e sul dorso delle mani, mi hanno fatto sentire fiero di te, degno erede - più di me - di chi ti ha preceduto.