Tre noci, quelle che da bambino quatto quatto cavai dal sacchetto sullo scaffale e ti mostrai fiero, appena usciti dal supermercato.
Un ceffone, che mi rifilasti quello stesso istante, costringendomi a tornare indietro e a rimetterle a posto, facendo seguire alla sberla data d'impeto un appello accorato a non ripetere mai più una cosa simile, insegnandomi che non era stata una furbizia, bensì un furto.
Infinite migliaia, le volte in cui ti sei preoccupata per me, la maggior parte senza dirmelo, per lasciare che crescessi sereno, non schiacciato dal peso di essere figlio unico.
Due domeniche, nelle quali mi accompagnasti "di forza" all'oratorio, perché avevo tredici anni e adoravo restare per i fatti miei in stanza, a leggere libri sugli animali e a giocare a fare l'adulto, mentre tu eri ossessionata che crescessi "introverso", senza amici e con soltanto te come riferimento.
Cinque, le coca cole che lasciavi nel frigorifero prima di andare a lavorare, nel luglio del 1982, perché sapevi che c'erano i mondiali di calcio e nel pomeriggio sarebbero venuti a casa i miei amici, per vedere le partite, e volevi che fossero contenti, che si sentissero accolti, che la nostra fosse casa loro.
Un anno, un anno intero in cui mi pare di non ricordare una tua risata, un sorriso lieto: era morta la nonna, tua madre, e forse entrasti in depressione, non l'ho mai saputo, non te l'ho mai chiesto, so soltanto che avevo dodici anni e poi un giorno, d'inizio estate, arrivarono amici di famiglia a cena, noi apparecchiammo la tavola fuori dalla porta d'entrata - in un angolo dove poi non abbiamo più pranzato - e tu tornasti ai miei occhi a essere felice e ricordo come fossero ora le tue risate, una donna tornata ad essere viva e vivace, come ormai non la ricordavo.
Svariate decine, i viaggi che fai tuttora avanti e indietro, con l'auto, a scorrazzare i nipoti a scuola, a chitarra, dagli amici, a danza, a calcio.
Quattro, le amiche del cuore, ex colleghe, quelle che tu ancora chiami "le ragazze" pure se ragazze non lo sono ormai più da un pezzo e con le quali vai a mangiare ogni tanto la pizza o il gelato.
Tre libri, che leggi in media ogni settimana, da quando sei diventata una lettrice accanita, cioè da qualche anno, dimostrando che non è mai troppo tardi per avere una passione e non si smette mai di imparare, se si è curiosi davvero.
Novanta, i mesi in cui non ti alzi più con accanto tuo marito e tutti siamo andati avanti, te compresa, ma nessuno sa come brucia ritrovarsi senza qualcuno da abbracciare quando ci si sveglia al mattino e si ha il cuore greve e il semplice contatto di un corpo altrui abbatte la solitudine e le paure di ogni essere umano.
Settantacinque, come i tuoi anni, oggi.
Buon compleanno mamma.
Grazie per tutte le lezioni che mi hai dato, per tutte le volte che eri preoccupata senza dirmelo, per le occasioni in cui mi hai spinto fuori, incontro al mondo, invece di tenermi stretto a te, al caldo di un nido, sapendo che il tuo compito era farmi diventare un uomo e non mantenermi figlio. E scusami se le parole più dolci sono quelle che raramente ti dico.