Ho trascorso una serata piacevole, in compagnia di Frenz, Mauro, Ale, Luca, Giovanni e altri blogger comaschi, chiacchierando del più e del meno. Più del più che del meno, nel senso che in ogni discussione ho notato un seme di positività, un cercare di cavare del giusto, del buono. Domani e domenica lavoro, ma intanto mi rituffo nel libro che ho per le mani in questi giorni. S'intitola "La terrazza proibita" e l'autrice, Fatema Mernissi, racconta la vita nell'harem in Marocco negli anni del primo dopoguerra. Nulla a che vedere con l'harem imperiale ottomano, con palazzi colmi di donne sontuosamente vestite o discinte, spesso immortalate nei dipinti di Ingres o Delacroix in pose lascive, bensì harem domestici, borghesi, che di erotico non hanno nulla e che nel mondo arabo sono poco più di una famiglia allargata, con il divieto però per le donne di uscire di casa. Ed è proprio questa imposizione, questa reclusione, che qualifica l'harem di cui si parla nel libro, un palazzo ospitante due famiglie, con una sola moglie per marito, in un tempo in cui la poligamia era tollerata ma generalmente non più praticata. Non ne parlo però per gli usi e costumi, m'interessano invece i luoghi in cui con l'immaginazione mi ritrovo: quei palazzi bianchi, con scale e cento stanze ai piani superiori e a pian terreno quattro immensi saloni, che danno tutti su un ampio cortile centrale, con in centro una fontana di mattonelle bianche con motivi azzurri che si riproducono anche sulle pareti, tutto attorno. E' in quel bianco, in quella luce abbagliante del riverbero del sole, ma anche negli angoli d'ombra che concedono riparo, che vorrei un giorno sedere, e ascoltare quelle storie che solo chi è recluso sa inventare, uniche ali che concedono di volare alto, lontano. C'è un brano, che ho letto ieri sera, e che vorrei qui riportare. Parla della felicità.
"Felicità - mi spiegava (mia madre) - è quando una persona si sente bene, leggera, creativa, contenta, quando ama, è riamata, ed è libera; una persona infelice si sente dentro delle barriere che schiacciano talenti e desideri. Una donna, secondo lei, era felice quando poteva esercitare ogni genere di diritti, da quello di muoversi a quello di creare, competere e sfidare e, al tempo stesso, di sentirsi amata proprio perché lo fa. Parte della felicità consisteva nell'essere amata da un uomo in grado di apprezzare la forza e il talento della sua compagna, e di andarne fiero. La felicità aveva a che fare anche con la privacy, il diritto di allontanarsi dalla compagnia degli altri e di immergersi in una solitudine contemplativa; o quello di sedersi tutta sola a non far niente per tutta la giornata, senza dare giustificazione o sentirsene colpevole. Felicità era poter stare con le persone care, e tuttavia esistere come essere distinto, che non è lì soltanto per rendere felici gli altri. Felicità era, infine, il frutto dell'equilibrio fra ciò che si dà e ciò che si riceve".
E' evidente e al contempo ignoto il motivo per cui sono gli uccelli in gabbia a sapere cos'ha di bello, di così bello, il cielo.
Foto by Leonora